Sulla bilancia

Ho cominciato a correre in vista dell’arrivo di mio figlio. Volevo farmi trovare in forma all’appuntamento, da un lato, e assicurarmi dall’altro di mantenere un salvagente di intimità (fosse anche di mezz’ora), nelle giornate della mia nuova vita. Da allora, quasi tre anni ormai, non ho mai lasciato trascorrere un’intera settimana senza che avessi corso almeno una volta. Non ho mai permesso che una giornata difficile, il lavoro, il morale, né più semplicemente la pioggia o il freddo, si mettessero tra me e quel rito. Ho corso sempre, soprattutto quando non ne avevo voglia. La corsa è così diventata parte della mia vita.

Adesso non sto più correndo da quasi tre settimane. Il corpo si è ripreso degli spazi che non ricordava di avere, ho rimesso peso, fare i quattro piani di scale al lavoro è già diventato più difficile. Il battito minimo è salito da 39 a 48 al minuto.

Mi ha ricordato quel saggio diventato famoso alcuni anni fa, in cui si raccontava cosa sarebbe successo alla Terra se, da un giorno con l’altro, scomparisse l’uomo. In breve, raccontava: la Terra si riprenderebbe tutto con stordente rapidità. Non passerebbero che pochi anni prima che da un satellite svanisse ogni minima traccia del nostro passaggio. Millenni di evoluzione, di sforzi, di magnifiche innovazioni (e tremendi disastri), cancellati in uno sputo.

Tutti i nostri sempre, i nostri mai, risucchiati dal fango come una scomoda pratica da sbrigare, per puro senso del dovere.

Sì, è tempo di ricominciare a correre. E non per lasciare un effimero segno sulla mia piccola esistenza. Ma perché, come scriveva Hikmet,

“non crederai alla morte

pur temendola,

e la vita peserà di più sulla bilancia.”

Dovevo smettere, per ricordarmene. Come sempre. Domani si corre.

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