Seppuku e l’altro Dio
La celebratissima serie Shōgun racconta vicende realmente accadute nel Giappone del sedicesimo secolo. Il contesto storico è quello di un paese spaccato non soltanto dalle faide tra diverse dinastie, ma anche dalla religione. Il cristianesimo ha infatti insidiato lo shintoismo, in un intreccio coloniale che nasconde soltanto gli interessi contrapposti di inglesi e portoghesi.
Della cultura giapponese, che non ha mai suscitato particolarmente il mio interesse, mi ha tuttavia incuriosito il rapporto con il suicidio. Nella serie, ad esempio, viene riservato notevole spazio al racconto del seppuku, cioè “tagliare il ventre”: la pratica suicida del guerriero vinto in battaglia. Riti elaborati e finemente coreografati fin nei minimi dettagli.
Quello che James Clavell tuttavia non sembra spiegare, è l’intersezione tra la condanna del suicidio da parte del cattolicesimo e la locale cultura legata alla morte come punto d’onore della classe guerriera.
Si tratta soltanto di uno delle decine di appuntamenti mancati nella scrittura della serie (seppur celebratissima, come detto). Ad averne il tempo, mi sarebbe piaciuto raccogliere questo dilemma in una atto unico, un dialogo tra Tokugawa e la sua geisha cattolica la quale, di fronte alla volontà del sovrano di togliersi la vita, disquisisce con lui sul significato religioso del gesto, in un ultimo tentativo di risparmiargli la vita.
Magari un’altra volta. Anche perché, occorre ripeterlo, del Giappone non me ne è mai fregato un fico secco. Peccato.
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