Rimozione forzata
A distanza di quattro anni vorrei ricordare con maggiore precisione cosa pensassi, quali sensazioni provassi, al montare dei dati sui contagi. Sembra un sogno riguardarsi oggi alle spalle, a quei giorni di tensione crescente, a quei mesi di stato universale di eccezione, alle ferrea convinzione che le nostre esistenze sarebbero mutate per sempre, un sogno appunto, dovendo constatare quanto poco o nulla sia poi realmente cambiato. Ma proprio poco. Gli strascichi dell’undici settembre, a confronto, oggi paiono monumentali. Nemmeno una delle buone pratiche che, a detta di molti, avrebbero dovuto renderci migliori, ad oggi - soltanto una manciata di anni più tardi - sono ancora in uso. Nemmeno più il lavoro da remoto, a quanto pare. Di certo non le misure igieniche quotidiane. Nella maniera più assoluta un senso di responsabilità collettiva o di coscienza comunitaria. Nulla. Abbiamo rimosso chirurgicamente tutti gli elementi, tutti i fatti, ma anche tutte le sensazioni, le emozioni di quel periodo, relegandoli a semplici aneddoti da aperitivo: io dov’ero, tu dov’eri, lui dov’era. Cos’è poi rimasto, davvero, di questa pandemia? Un governo complottista e antivaccinista, per dirne una. Una crisi economica, politica e occupazionale. D’accordo, ma in noi, individualmente e collettivamente, in quanto esseri umani, in quanto cittadini, cos’è cambiato? O dico: è poi cambiato qualcosa? Io, mi domando, sono cambiato?
Ricordo una conversazione con il mio agente, che durante quei mesi mi esortò a non arrischiarmi a scrivere nulla sulla pandemia, poiché tutti stavano scrivendo della pandemia, i tavoli degli editori erano sommersi di manoscritti sul lockdown. E allora oggi mi domando: dove sono finiti poi tutti quei libri? Tutti volevano raccontare la propria esperienza, condividerla col mondo ma poi, dal minuto in cui abbiamo riacquisito la nostra libertà, è evidente che tutte quelle milioni di pagine siano finite nel cestino, perché nessuno avrebbe voluto leggere della pandemia. Io, oggi, lo leggerei un romanzo sul lockdown? Forse no. E la mia domanda torna ad essere la stessa: Perché no? Perché non voglio ricordare? Forse proprio perché ho tradito, io per primo, tutte quelle aspettative di un cambiamento radicale. Che poi non c’è stato. È evidente.
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