Quanto è bello Grigor Dimitrov

È un po’ come se fosse un parente, un amico di famiglia. Un ragazzo col quale sono cresciuto, vedendoci magari ogni estate, osservandolo giocare al circolo e, anno dopo anno, seguirne i miglioramenti. Secondo una logica calcistica, e quindi di tifo, quando si parla di tennis, io dico che tifo Grigor Dimitrov. E non perché sia necessariamente più forte (non è mai davvero stato all’altezza del suo potenziale), ma perché è più bello. Lui e il suo tennis. Ha il fisico elegante e slanciato del bel tennis, ha lo sguardo buono e il sorriso del bel tennis, ha l’eleganza, la compostezza, l’infinita dignità del bel tennis.  E quando vince, io sono contento. Come quando vince la mia squadra. Perché vincere non può essere tutto, se no chi la salva la bellezza? Di mezzo a tanti agitatori di clave, un rovescio a una mano, in salto, con apertura alare completa; o uno smash, in rincorsa, di spalle, a un metro da terra, queste prodezze estetiche - delle quali soltanto un Federer era capace - chi le tiene in vita?

Vincere non è tutto, ma quando vince il bel gioco io sono contento come un bambino e sussulto e sobbalzo ed esulto di fronte a quei lungo linea fenomenali. Vinti con la tecnica, prima che con la forza.

“Mi ha fatto sentire un bambino di tredici anni,” ha detto - con la solita maturità del campione - Alcaraz nella conferenza stampa post partita. Ed era una metafora, ma involontariamente dimenticava che tredici solo anche gli anni che lo separano da Dimitrov. Alla faccia della metafora.

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Asi