Per conto terzi

Quand’ero ragazzino, il professore di latino disse a mia madre: “Il problema di Giulio è che non ha capito che la scuola è una cosa seria.” Aveva ragione. La scuola la temevo, senza rispettarla. I miei insuccessi scolastici erano capaci di deludere i miei genitori: questo temevo, il disappunto altrui. Ma che potesse avere un effetto sul mio futuro, questo no, non lo concepivo.

Affronto altri aspetti della mia vita alla stessa maniera. Per esempio: domani correrò la maratona. Andrà male, nel senso che potrei farmi male, non mi sono allenato a sufficienza e sono fuori forma. La mia preoccupazione? Dire a una manciata di persone che dieci chilometri, eventualmente, li ho fatti camminando. La maratona la temo, ma non mi sono preparato come avrei dovuto. Perché poi in un modo o nell’altro sono abituato che la sfango. Nessuno mi obbliga a correrla, è una cosa mia, eppure il pensiero è sempre rivolto agli altri, a come mi giudicheranno.

È così che finisco per non prendere le cose sul serio: non facendole per me stesso, ma per qualcuno che, irrimediabilmente, ci tiene molto, ma molto meno di me.

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Uno sport vi seppellirà

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Small Data, Italia