Ovunque, sull’abisso
Avrei voluto e dovuto registrare uno scambio che è avvenuto sul treno, questa sera, nei sedili alle mie spalle. Un dialogo tanto astruso da impedirmi perfino di capire quale fosse poi il rapporto che intercorreva tra i due uomini. Avrebbero potuto essere fratelli, amici, colleghi, come anche perfetti sconosciuti. Mai - e lo dico senza ironia - mi è capitato di assistere a un così limpido trattato sul nulla. Non un tema portante, non un concetto, non un’opinione. Magistralmente, come due drammaturghi navigati di beckettiana memoria, i due signori non hanno mai taciuto, nemmeno un istante, senza tuttavia riuscire a dirsi assolutamente niente. Per oltre un’ora di tragitto.
Piove, e sì che ha fatto tanto bel tempo - dice uno. E l’altro, subito: C’è chi non ha una casa, sotto tutta quest’acqua. Alchè il primo: Con i prezzi che crescono a questo ritmo. L’altro: Povero paese, guarda i treni. E il primo: Abbiamo già superato Wolfsburg? L’altro: Non avessi mai venduto la mia mia vecchia Golf. Prontamente, il primo: Trump gioca a golf. E avanti così. Come risucchiati in un buco nero, uno spazio senza tempo, avrebbero potuto non finire mai. Interrotti soltanto dall’incombenza di scendere alla loro fermata - anche allora senza interrompere il loro flusso di coscienza per un solo istante.
Uno spettacolo riservato a pochi presenti, una performance di improvvisazione ineguagliabile. Il Teatro dell’Ovunque, alcuni lo chiamano. Stasera qualcuno ha recitato per me, senza chiedermi nulla in cambio. Se non di tendere l’orecchio, affacciato sull’abisso di una chiacchiera piena di niente. Splendidamente colma di nulla.
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