Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che social

TikTok ha il potere di mettermi regolarmente di cattivo umore. Chi lo ama lo definisce onesto, per questa estatica brutale; per me è semplicemente sciatto.

Al netto del fatto che me lo debba far piacere, rimane per me lo specchio di un mondo che sarà pure sincero, ma che ha anche perso il buon gusto.

Il tanto vituperato Instagram, con tutte le critiche che gli si poteva rivolgere per quella percezione distorta di un mondo perfetto, almeno ci provava a fissare degli standard estetici.

TikTok, invece, non sarà ipocrita, ma è tanto tanto tanto brutto. Quella che venne definita per un decennio “la piattaforma dell’apparenza” nascondeva, così mi pare, almeno uno sforzo di confezionare una realtà ordinata, pulita. Come una camicia stirata nasconde, spesso, un uomo sciatto.

Infine, il cosiddetto “dump” ha portato TikTok su Instagram e Instagram, infatti, non è stato più lo stesso: un’accozzaglia raffazzonata di contenuti privi di filo logico, secondo il letterale significato del termine “dump”, cioè: scarico o, meglio, discarica.

TikTok riesce immancabilmente a causarmi una reale nausea per la sua casualità e approssimazione, tanto che, nell’arco delle mie mansioni professionali, dovendo scegliere tra influencer attivi su Instagram o su Tiktok, continuo a prediligere i primi: che almeno vengano pagati per lo sforzo di restituire una pubblicità confezionata come si deve.

TikTok ci somiglierà anche di più - il mondo, di fatto, è sciatto - ma c’è social e social: la griglia, quantomeno, ci forzava entro dei parametri. La libertà digitale ci conforma agli aspetti peggiori del nostro carattere caotico. La bruttezza rimane pur sempre una scelta. Se sui social bisogna esserci - e non è detto che lo si debba per forza - allora che almeno i brand lo facciano affiliandosi a piattaforme in grado di esaltarne i tratti migliori. Non quelli peggiori. Altrimenti non è una scelta, è masochismo.

parole: 306

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Un certo effetto

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Ma felice