Malgrado
Non sono mai stato famoso nel senso proprio del termine. Ho partecipato per qualche anno a un programma di successo tra le ragazzine e i ragazzini di allora. Una boiata ben congegnata, mettiamola così. E per giunta, di tutti i giovani colleghi, io ero il principe delle pippe. Si comincia così. Insomma, famoso no, ma con un certo seguito per un brve periodo. Questo trailer di fama circoscritta - del quale mi sono vergognato allora e del quale mi vergogno in certa misura tutt’ora - mi ha portato a scattare i primissimi selfie con i giovanissimi fan della boiata: scatti effettuati (tanto sono vecchio già) con telefoni senza ancora la fotocamera frontale o per i quali veniva richiesto il supporto di assistenti imbarazzati.
Centinaia? Un migliaio? Di più, di meno? Insomma, non era James Franco, ma nemmeno pochissimi. Poco dopo è sopraggiunto Facebook e a seguire gli altri social network e, infine, i social media. Dunque quegli scatti - opachi, pixelati, sgranati - hanno lentamente cominciato a venire caricati online. Io intanto ho abbandonato il programma (a gambe levate), mi sono trasferito per gli studi, ho cominciato a lavorare, ho cambiato mestiere, ho cambiato città, ho ricominciato a studiare, ho iniziato una nuova carriera, ho ricambiato città, ho cambiato paese, eccetera. Per farla breve. Son successe due o tre cose, ma nulla mi risulta più distante di quegli scatti che mi sembrano non soltanto appartenere a un’epoca distante, ma soprattutto ritraggono una persona che stento a riconoscere essere io.
Con acerbo candore già al tempo mi meravigliavo della mia impotenza di fronte al dilagare indiscriminato della mia immagine al fianco di giovanissimi sconosciuti che, anno dopo anno, hanno smesso di essere prima giovanissimi e poi anche giovani. Inesorabilmente. E mentre crescevano e chiaramente smettevano di essere miei fan - vivadio - le foto insieme, seppure dimenticate, continuavano e continuano ancora a riposare indisturbate negli scantinati dei loro profili.
Negli anni ho intravisto alcuni di loro studiare, fidanzarsi, avviare belle carriere, viaggiare, e fare tutte quelle cose che tante persone tendono a fare. Altre e altri tuttavia sono stati meno fortunati: un paio sono mancati, altri hanno accusato malattie (spesso mentali), certune esistenze hanno addirittura preso chine sinistre, tra droga e - perfino - malavita. Ebbene sì, pure io, nella mia piccola fama di piccolo famoso, agli albori dell’internet, ho scattato foto con docili bestiole che poi sarebbero diventate, a seconda, degli Escobar della Brianza e, in un caso, un’assassina.
E questa è già una prima morale del mio racconto: non ci si sceglie i propri fan. In una delle sue prime canzoni (molti tatuaggi e molti milioni fa) il signor Fedez diceva “voglio la fama dei Beatles, ma non i fan di John Lennon”. Detto bene.
Ora pensiamo non alla breve mia fama, ma consideriamo - nell’epoca attuale - la quantità di foto e video ai quali si sottopongono un’attrice o un cantante di successo, ma anche i politici, come vediamo dall’attualità.
Ecco, se c’è una colpa che davvero non riesco a fare - e vale a destra come a sinistra - è a chi non ha saputo negare un selfie senza indagare prima la fedina penale del richiedente. Chiaramente il discorso non riguarda scatti rubati, ad esempio, al ristorante, dove gli interessati stanno desinando gomito a gomito. Ma accusare foto casuali, per strada, è a dir poco miope oppure nasconde latente malafede.
L’ho presa larga forse, lo so, ma è un tema che trovo di eccezionale attualità e che mi colpisce sul personale da tanti anni. Ciclicamente ritornano questi presunti scandali su immagini di politici scattate al fianco di cugini dei nipoti di boss della mafia. Ecco, io che non sono il sindaco di Bari, sulla base dei miei selfie non dovrei avvicinarmi a una carica pubblica. Che manco ci penso per sbaglio. Però.
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