L’inspiegabile noia

Prima partita di calcio dopo le olimpiadi. Se uno le ultime due settimane le ha seguite con attenzione, allora non può che apparire lampante: il calcio è, tra tutti gli sport, uno dei meno avvincenti. Partite interrotte per fallo ogni trenta secondi, tempi interminabili per costruire un’azione, risultati stringati, scarsissima spettacolarità di gioco (escluse alcune giocate di pochi eletti).

Seguire il calcio è una dichiarazione d’amore: si tifa come atto di fede, cioè con due fette di prosciutto sugli occhi, accecati dal suo valore simbolico e tradizionale.

Due settimane di agonismo vero, spietato, affamato, identitario, lasciano lo spazio a queste ventidue pippe al sugo che pasciono sul campo di qua e di là.

Gli inglesi lo chiamano “the beautiful game” ma, in tutta onestà, vogliamo fidarci del gusto di un popolo che, oltre al calcio, ha dato i natali al cricket? E al badminton.

Ridateci le azioni veloci della pallavolo, gli scatti e i contrasti della pallacanestro, l’adrenalina della pista d’atletica, la tecnica dei salti, la grazia della ginnastica, la potenza del rugby, la rapidità della scherma e della boxe. Prima che ci riabituiamo a questo mortorio - all’inspiegabile successo di una disciplina, fondamentalmente, mediocre. Almeno in paragone.

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