Le mani in tasca

Stamattina ha colto, inattesa, la pioggia i berlinesi. Uno scroscio di qualche minuto che, unito allo sciopero prolungato dei treni, ha spinto gli utenti dei servizi pubblici in massa verso stazioni e pensiline. Nell‘ora di punta questa può rivelarsi come un’occorrenza spiacevole, a dir poco. Ovunque, nelle grandi città in particolar modo.

Ci siamo dunque ammassati nei vagoni, bagnati e infastiditi, addossati l’uno all’altro, ognuno lanciando i suoi accidenti, le sue maledizioni, ognuno rispolverando i suoi propositi di cambiare vita.

Nell’incapacità di muovere un mignolo, ho ho ascoltato i respiri indolenti del signore alle mie spalle (che doveva aver fatto una colazione speziata), della ragazza di fronte a me (che doveva aver spento l’ultima sigaretta un momento prima di salire sul vagone), come i respiri di tutti i miei compagni di viaggio, i colpi di tosse, gli starnuti, i reflussi, i vizi, le abitudini.

Non potendo muovere un dito ho quindi cominciato a giochicchiare con le mani nelle tasche. Chiavi, scontrino, scontrino, gomme, fazzoletto, guanti, scontrino, burro cacao e - da una galassia lontana, come risucchiata da un buco nero - una mascherina. Bianca, ffp2, col ponte di metallo piegato, leggermente infeltrita. L’ho riconosciuta al tatto e me ne sono stupito, nonostante sia sempre stata lì, tutto questo tempo. L’ho indossata, guardandola appena. E ho respirato. Più di un vecchio album di figurine, più di un cd degli 883, più di una partita guardata in chiaro sulla Rai la domenica pomeriggio, più della nostalgia stessa, sono stato travolto dal desiderio di venire richiuso in casa, a lungo, in silenzio, mentre fuori, con fame atavica, la natura si riprende la città.

parole: 270

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