L’ascolto universale

Della corsa ho scoperto questo: che si può fare da soli, oppure insieme. Mentre dentro giochi una partita con il corpo e con la testa, quello che succede all’esterno può avere una rilevanza decisiva.

Io ho cominciato correndo da solo: niente run club, niente amici di allenamento. Per me la corsa ha rappresentato - e rappresenta tuttora - una zona cuscinetto tra il lavoro e la famiglia, indispensabile per risettare tutti i circuiti sul finire della giornata. Per questo cerco di prendere parte a molte corse organizzate: per stare con gli altri.

Ma correre con gli altri comporta delle responsabilità. Perché se è vero che si può correre sia da soli che insieme, è anche vero che si può correre da soli e insieme; ovvero circondati sì da altri corridori, ma isolati in sé stessi. E allora correre insieme ha poco senso. Quando si corre insieme, ci si fa carico degli altri: del loro corpo e della loro mente. Si aiuta un corridore coi crampi a stendere i muscoli, si soccorre un corridore che sta cedendo. Si fa e basta.

La corsa è un micro cosmo di gentilezza e di riguardo con regole non scritte. Perché correre, in definitiva, è un’attività infame: ognuno corre per delle ragioni che non conosci. Ma tutti corrono per una ragione e nessuna è futile.

Nel mondo iperconnesso queste regole sono un toccasana per il vivere comune. E ritemprano la fiducia nel mondo. È un linguaggio universale che richiede un ascolto universale, oltre che intimo.

Chi corre per il cronometro è inesorabilmente destinato alla solitudine. Allora tanto vale darsi al sollevamento pesi.

parole: 267

Indietro
Indietro

La sera delle lanterne

Avanti
Avanti

Attraverso casa