La repubblica dei pavoni

Se chiudo gli occhi e penso a una cosa, una cosa soltanto che da sola sia in grado di incarnare tutto ciò che è ostinatamente novecentesco, quella è la parata. Tutto il fallimento del secolo scorso, tutta l’ostentazione muscolare e testosteronica di un passato logoro. Ma ancora, all’interno del concetto di parata, c’è qualcosa che più di ogni altra esprime l’idiota fallocentrismo di un paese marcio nelle fondamenta, e quello sono le frecce tricolore. Dei caccia da guerra che inquinano in mezz’ora quanto il Pakistan in un paio d’anni e il cui unico compito è scoreggiare il tricolore su una città paralizzata nel traffico. Le parate militari. Beato il paese che non ha bisogno di parate militari e di aerei incontinenti. Che invece esibisca, nel giorno in cui festeggia la propria repubblica, gli elementi trainanti che la compongono quella repubblica: il proprio patrimonio, la propria cultura, i propri giovani, il proprio sguardo sul futuro. Invece l’orgoglio della repubblica passa evidentemente da cinque cretini con un pavone in testa che corrono mentre suonano la tromba. Eccola, la nostra repubblica. Una repubblica che risponde all’emergenza climatica con i caccia bombardieri.

Tra tre giorni è l’Earth Day, spariamo qualche razzo? Così, per festeggiare. Glielo facciamo vedere, a tutti, di cosa siamo capaci. Ah sì, glielo facciamo proprio vedere.

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