La città del cortocircuito
Ogni persona che quotidianamente incontro in questa città - e che abbia anche soltanto un anno in più di me - ha vissuto la città divisa. Che abitasse in un’isola minuscola all’interno di uno sterminato territorio straniero o che vivesse in un regime autoritario. Chi ha anche soltanto un anno in più di me non è comunque nato nella capitale europea che oggi conosciamo.
È un fatto che si tende a dimenticare, abitando qui, ma che ciclicamente torna alla mente. Specialmente per via del diffuso disagio, per la concentrazione di scombinati e di sbandati. Sono questi i figli del grande cortocircuito che vede Berlino come la capitale della “locomotiva d’Europa” (chissà poi per quanto ancora) da un lato, ma anche come una città giovanissima, confusissima, che ancora sta cercando di capire cosa vuole fare da grande, se continuare a vivere come un’adolescente o se mettere la testa a posto e comportarsi da adulta.
La metà scarsa delle persone che incontro ogni giorno ha un aspetto triste, gli occhi stanchi di chi, dopo un lungo sonno, fatica a ricordarsi dove si trovi.
È quantomeno bizzarro trovarsi ancora a notare che la metà scarsa delle persone che si incontra ogni giorno a Berlino ha vissuto sotto un regime, aveva il terrore di venire spiato, indagato, fatto sparire da un momento con l’altro. Con tutto ciò che ne deriva. La nostalgia per ciò che c’era di bello, gli incubi - ancora - per ciò che ogni giorno aveva in serbo di terrificante.
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