“In un’altra vita avrei”

Potrei coprire un anno di palinsesto, se tenessi una rubrica intitolata “In un’altra vita avrei.”

E non tanto perché io sia insoddisfatto della mia vita, quanto perché ciclicamente un nuovo ambito cattura con prepotenza il mio immaginario. Deve trattarsi di una maledizione che perseguita quelli che, come me, non hanno seguito un percorso lineare - o quantomeno verticale - e invece si ritrovano a sapere poco di molto.

Infondo è uno sport che pratichiamo in parecchi, mi pare.

Ci sono mesi in cui vorrei sapere di più della musica, e allora mi immagino oscillante in una mansarda parigina con in braccio uno Stradivari. Altri in cui, passeggiando, mi rammarico di non avere studiato architettura, e capire a fondo la grammatica della città in cui vivo.

Altri in cui passo ore - principalmente quelle in riunione - a disegnare sull’iPad, fantasticando di una professione da illustratore.

Anelo vite parallele per pura curiosità o forse per semplice esercizio della fantasia, ma sempre accompagnando all’immaginazione una malinconia reale, un dispiacere sincero per queste vite che non vivrò mai.

Oggi, lo sento, è stato il mio overshoot day, quello in cui ho fatto più cose di quelle per le quali avrei tempo (“ci vorrebbero tre Giulio e mezzo per fare tutto quello che vorrebbe fare,” ecc). E ho la sensazione che - come per il pianeta - questo giorno ogni anno arrivi prima.

Non ho imparato a suonare l’armonica, non ho fatto un corso di kintsugi, non ho cominciato ad arrampicare. Ma il non aver fatto nessuna di queste cose mi pesa quanto un’occasione fallita, un treno perso per sempre.

E come spesso accade, a voler far troppo, ho finito per consumare troppo presto le mie risorse. Che non si rigenerano. Io sono un pianeta dalle risorse finite!

parole: 294

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