In morte del cavallo
Una volta mia nonna mi portò in slitta. Eravamo a Megève, sotto Natale. Ricordo che lei aveva una pelliccia e il Borsalino lilla con la piuma. “Facciamo i ricchi,” disse scoccandomi un occhialino. Il cavallo aveva una coperta in groppa per tenersi caldo e un odore buono; faceva tanto freddo che il vapore del suo respiro ci raggiungeva come se stesse fumando una sigaretta. Non ricordo nient’altro. Non ricordo se la cosa mi divertì, o se divertì mia nonna. Ma credo che sia stata la prima e ultima volta che mi sono fatto trainare da un animale.
Infondo è un gesto antico. I cavalli trainano carri e slitte da quando esiste la ruota. Penso. Con gli occhi di oggi, invece, quella mi sembra una barbarie. Quando mi capita di vedere le carrozze nelle grandi città d’arte, provo un ribrezzo istantaneo. I cavalli avranno anche trainato carri e slitte dall’invenzione della ruota, ma lo hanno fatto per una nostra necessità. Una necessità che oggi, ovviamente, non sussiste più.
Che nell’anno di nostro signore 2024 in Italia venga ancora permesso di far schiattare esseri viventi per alleviare il peso del deretano di qualche turista che si è scofanato troppi manicotti è, francamente, grottesco. Non si tratta soltanto di cattivo gusto, ma proprio di un cinismo fuori dal nostro tempo. Segway, monopattini e bici elettriche dovranno bastare. Toccherà fare quello sforzicino lì di darsi una spintina col piede e schiacciare un pulsante, mi rendo conto di chiedere molto, ma davvero ce la può fare anche un americano qualsiasi. Altrimenti toccherà fare a meno di quel genere di turista. La città di Firenze se ne farà una ragione.
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