Il gusto per l’orrido
Ci ho messo tre giorni, ma alla fine mi è venuto in mente. Ritorno sul film American Fiction che sì, mi era piaciuto molto, ma che mentre lo guardavo continuava a darmi una sensazione di già visto. Che poi oggi bene o male tutto è un già visto e, se il prodotto è buono, possiamo tranquillamente infischiarcene delle sue ispirazioni. Ad ogni modo. L’idea che l’apprezzamento del pubblico verso un’opera sia inversamente proporzionale alla sua qualità è un paradigma che un altro regista già aveva esplorato. E non un regista qualsiasi, ma Mel Brooks con il suo celebre The Producers, sia nella prima versione del 1967, sia in quella (non da meno) del 2005. Sono qui infatti i due produttori Leo Bloom e Max Bialystock a sfidare il cattivo gusto del pubblico patinato e incartapecorito di Broadway, mettendo in scena “il peggior musical della storia”: una pièce - tra gai lustrini e paillettes - dell’ascesa del Führer nel suo Terzo Reich. Le canzoni “In Old Bavaria”, “Heil Myself” e “Der Guten Tag Hop-Clop” dei Producers non sono dissimili dai libri che Monk si trova dapprima a combattere e poi a scrivere, nel tentativo di mettere a nudo l’ipocrisia del lettore medio americano: da “We's Lives in Da Ghetto” a “My pafology” (poi più semplicemente “Fuck”), un excursus nella letteratura di genere afroamericana. Insomma, non stupisce che attraverso oltre mezzo secolo ancora sortisca il suo effetto la necessità di mettere alla prova il gusto dell’orrido. Non è un segreto nemmeno per i pubblicitari, i quali troppo bene sanno che il cliente - qualsiasi genere di cliente - tra una proposta bella e una brutta sceglierà, sempre e immancabilmente, quella più brutta.
A volte mi viene il dubbio che perfino certi governi vengano assemblati secondo lo stesso criterio: “Vediamo fin dove riusciamo a spingerci.” E peggio fanno, più crescono nei sondaggi. Ma non c’è pericolo, infondo è soltanto fiction. No?
(American Fiction é disponibile su Amazon Prime.)
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