Il gorgo la sa lunga

Io addirittura avevo già da tempo deciso di non parlarne. Ero sicuro che fosse già stato detto tutto, che non ci fosse poi manco nulla da dire. “C'è ancora domani” è un bel film. Punto. È un film perfetto? No. Non credo nemmeno ne avesse l’ambizione. Eppure, come al solito, il saperlalunghismo italiano doveva affiorare dai gorghi anche questa volta. Troppo successo per un film di cuore, gentile, intelligente, delicato. Un film che parla di violenza senza mostrare violenza, come pensava di farla franca? E così, a sei mesi dal suo debutto in sala, eccoli che arrivano: gli esperti, quelli bravi, gli allenatori della domenica, che non hanno mai giocato ma che saprebbero vincere i mondiali. Nel panorama desolante del cinema italiano, per una volta, gesù santissimo, viene fatto qualcosa di bello, niente, non è femminista abbastanza, non è femminista nel modo giusto, avrebbe dovuto, avrebbe potuto, sarebbe stato importante che, invece, molto più, molto meno, non è il film che ci voleva adesso, in questo momento storico. No, infatti. Che film ci voleva? Le armonie di Werckmeister di Béla Tarr? Che palle. Che. Palle. Ma non possiamo, per una volta, goderci che una connazionale, per una volta donna, che, per una volta, ha fatto qualcosa di bello, che è piaciuto non agli italiani, ma a tutto il mondo,  perché a tutti è piaciuto, pure alle femministe tedesche, perfino a quelle svedesi! Niente. L’invidia per gli addetti ai lavori, l’ignoranza e il cinismo per gli altri, vada come vada, in questo paese non riescono a tacersi. Nell’arco di un paio di giorni, tra commenti privati di ex colleghi del cinema, tra post di testate intellettuali e pseudo-intellettuali, ho cominciato a vedere, strisciante, il gorgo eruttare. E mi è presa una rabbia. Ma una rabbia, che non so spiegare. Non perché pensi che “C'è ancora domani” sia il film del secolo, ma proprio perché, pur non essendolo, ha avuto il successo che ha avuto, soltanto per quello, trovo, la storia della Cortellesi - snobbata dai geniacci di Rai Cinema - è la storia di successo di cui il nostro paese, proprio ora, ha bisogno. Ma, sa dio come, in Italia siamo sempre migliori degli altri, abbiamo capito sempre tutto meglio, avremmo potuto far sempre tutto meglio, ma poi, inesorabilmente, ci teniamo compagnia con la Grecia in fondo a ogni classifica. Come si suol dire: beati voi che capite sempre tutto, che sapete sempre tutto. Imparassimo a tenercele strette, le Cortellesi, mangeremmo in testa al mondo. E invece, come si direbbe in questi casi — ce lo meritiamo Pino Insegno. Sipario.

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