Il gioco serio

A volte trovo Tamberi urticante. Quel suo modo esasperato di festeggiare, di disperarsi, quello show ostentato che nulla aggiunge al suo talento, ma del quale - è evidente - ha un disperato bisogno per alimentare le sue performance. La barba fatta a metà, ecco, quella roba lì. Dall’altro lato è impossibile non vedere il ragazzo, il bambino quasi, uno spirito purissimo e innocente che gioisce di un salto come se ne dipendessero le sorti del mondo. Non è poi questo che contraddistingue un bambino: la serietà estrema del gioco?

Soltanto un bimbo, infatti, tratterebbe un capo di stato come se fosse un compagno di giochi, non se ne sentirebbe intimorito, gli correrebbe incontro come farebbe alla propria mamma. Ed è in questo che Tamberi è un fuoriclasse, davvero. Riuscire a ricucire quel patto logoro che lo sportivo sigilla con la propria disciplina, fuor di sponsor, fuor di denaro. Ma per il gusto, invece, del gioco, della sfida. Chi salta più in alto? Gimbo, salta più in alto. 

Quella corsa, ieri sera, ad abbracciare Mattarella, non ha nulla da invidiare a un Benigni che prende in braccio Berlinguer: è il gesto profondamente politico (e inconsapevole) di un bambino, che rinsalda il rapporto umano con le istituzioni. Che si fa ponte tra il cittadino e il potere. Rendendolo di nuovo approciabile, prossimo. Di questo, noi italiani, abbiamo un disperato bisogno. 

Quello di ieri è stato un gesto antico, dimenticato, indispensabile in questi tempi bui. Perché lo sport, se giocato con serietà, ha questo potere qui: di ricordarci chi siamo. E quanto in alto possiamo saltare, se soltanto ci crediamo.

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