Il buon copy
Il mio non è un mestiere, come si suol dire, etico. Vendere non esprime nobiltà d’animo. Non sono affiliato alla Camorra, è chiaro, tuttavia la comunicazione di marca rientra tra quelle professioni che, in un periodo di grandi sfide globali, non si prestano a un miglioramento delle società.
Eppure a me certa comunicazione non smette mai di piacere. Io con un bel copy continuo a emozionarmi, continuo a trovarla un’opera di scrittura perfino scientifica, equilibrata tra decine di fattori che ne minano la semplicità. Scrivere per la pubblicità richiede una conoscenza che va oltre la contezza narrativa, ma che esige una cultura trasversale al mercato, al prodotto, al pubblico di riferimento.
Per arrivare a scrivere un copy come questo di Babbel, non bastano né senso dell’umorismo, né una laurea in marketing. Ci vuole esperienza e ci vuole talento. Un buon copy arriva dritto al cuore e alla mente, puntuale come un orologio svizzero. Non lascia spazio a interpretazione. Non invita a comprare: lo ordina.
Non otterremo forse la stima di Madre Teresa di Calcutta. Però che bello, dio santo, un copy scritto come si deve.
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