Giocare per chi

Soltanto all’inizio di giugno era stata pubblicata una ricerca che aveva generato molto scalpore in Germania. Da questa emergeva come il ventuno percento dei tedeschi avrebbe voluto vedere più giocatori di carnagione bianca nella nazionale di calcio. E il ventuno percento, servisse dirlo, non è poco. Il signor Tah, il signor Rüdiger, il signor Henrichs, il signor Can, il signor Gündogan, il signor Undav, il signor Musiala e il signor Sané hanno scelto di non commentare questo allarmante esito. I compagni di squadra bianchi avevano invece liquidato la questione come una “grandissima scemenza”.

Mi chiedo con che spirito si rappresenti una nazione che in te non vede un degno rappresentante per il colore della tua pelle (un nostro deputato al parlamento europeo direbbe “che non rappresenta i tratti classici dell’italianità”). Mi chiedo dunque con che spirito i signori Maignan, Koundé, Konaté, Mendy, Tchouaméni, Kanté, Camavinga, Fofana, Coman, Dembélé, Thuram, Muani e, ovviamente, Mbappé, affronteranno la partita di lunedì contro il Belgio.

È tragico vedere questi ragazzi sputare i polmoni in campo per difendere i colori che portano sul petto, immaginando una parte del paese che non vede l’ora di disprezzarli alla prima buona occasione. Di riversare il suo odio sulle loro caratteristiche somatiche, prima che tecniche.

Uno dei pochi - pochissimi - problemi che noi non abbiamo, avendo una nazionale che più bianca non si può. Oltre che piena di pippe. La purezza della razza, lo riconosceranno perfino Salvini e Vannacci, non ci ha esattamente premiato (cosa che non si può dire, invece, dell’atletica leggera). Invochiamo a gran voce la sostituzione etnica per il mondiale del 2026. Altroché.

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