Domani, domani e poi domani

Io già oggi non posso che tremare all’idea della Giornata della Memoria. L’imbarbarimento del dibattito pubblico ha ormai raggiunto vette di ignoranza impareggiabili. Ebrei, Israele, Olocausto, Gaza, tutto in un calderone, tutto uguale, tutto è Olocausto: Olocausto è diventato un passpartout, un contenitore vuoto che riempie ogni ingiustizia - vera o presunta - dagli allevamenti intensivi dei polli (un immane e disgustoso sopruso) a qualche centinaio di morti per effetti collaterali legati al vaccino contro il Covid. 

Olocausto, Olocausto, Olocausto, fino a quando Olocausto non significa più nulla. Di conseguenza, fino a quando anche la Giornata della Memoria non significa più nulla. Scenderanno in piazza (o scenderanno in Rete, più semplice ed efficace) migliaia di subnormali con la loro verità in tasca, vale a dire: la Giornata della Memoria (per commemorare l’Olocausto subito dagli ebrei - una fede religiosa - a cavallo tra gli anni ’30 e i ’40 del secolo scorso) non va celebrata per via di quello che sta succedendo a Gaza (oggi, per mano di uno stato guidato dalla seconda e terza generazione del Ghetto di Varsavia). Come se ricordare sei milioni di morti cento anni fa (uccisi per la loro fede religiosa) inficiasse una posizione di resistenza verso il massacro che lo Stato di Israele sta perpetrando verso i palestinesi oggi. Questo è, da manuale, il gioco delle destre (supportate dalla superficialità di tanta sinistra): trucidare le parole per spianare la strada alla ripetizione della storia. Chi ha paura oggi di un Olocausto se Olocausto non significa più niente? Chi ha paura del Fascismo se tutto è Fascismo? 

Domani, nella Giornata della Memoria, dovrebbe vigere un’unica regola: quella del silenzio. È questa ormai l’ultima arma che le parole hanno a propria disposizione per diferndere il proprio valore. Come si suol dire: “Un bel tacer non fu mai scritto”. Domani più che mai.

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