Cosa stiamo vietando?
L’Australia oggi ha varato una legge (dai contorni poco chiari) che vieta l’uso dei social media ai minori di sedici anni. Basta leggerlo, un titolo così, per sentire già i cori dei tifosi da bar. Io di nuovo fatico ad avere un’opinione netta. Se da un lato infatti concordo con chi reputa un certo impiego dei social da parte dei minori come potenzialmente nocivo, la mia anima anti abolizionista mi ricorda che interdire - ce lo insegna la storia - non è mai costruttivo quanto, ad esempio, capire, analizzare, e poi, al massimo, limitare.
Misure come questa fanno leva sulla paura delle generazioni di genitori legiferanti, di fronte alla mancata comprensione del mezzo, oltre che di scarso ascolto dei propri figli. Vietare, come sempre, è la scorciatoia più rapida ad una superficiale - quanto illusoria - soluzione del problema. E le domande che in merito sarebbe opportuno porsi sono molteplici, ma una su tutte è: “Perché vogliamo vietare i social media? Da cosa vogliamo proteggere i nostri figli?”
Dal bullismo (bisognerebbe cominciare dalle scuole); dal malcostume (e allora perché non anche la televisione?); dalla pubblicità (allora chiudiamoli direttamente in casa e buttiamo via la chiave); da una pressione sociale sul proprio apparire? Quando vietiamo l’uso dei social media, precisamente, cosa stiamo vietando? E in che termini, invece, stiamo abdicando con pigrizia al nostro ruolo di genitori, lavorando fin dalle mura domestiche a un’educazione oculata dei nostri figli? E ancora: quali mezzi contiamo, invece, che avranno i ragazzi di sedici anni, per difendersi da queste minacce? Vietare l’alcol ai minori di 21 anni negli Stati Uniti contribuisce ad arginare l’alcolismo? Vietare il tabacco ai minori di 18 anni in Europa sta contribuendo ad abbattere il numero di tabagisti (laddove, peraltro è dimostrato che sono i social stessi ad aver reso “uncool” il fumo di sigaretta). La lista potrebbe andare avanti.
Quando vietiamo l’alcol stiamo vietando la sostanza o stiamo lavorando a costruire bevitori coscienziosi?
I meccanismi sinaptici attivati dall’uso dei social network sono in parte paragonabili all’assuefazione che può darci una sigaretta o un bicchiere di vino, se non quello di droghe leggere. Eppure quello che vedo io, sono orde di genitori che non esistano a schiaffare i figli davanti a YouTube per avere una tranquilla conversazione a cena (tra l’altro, in Australia lo sanno che YouTube è considerato un social media?). L’uso improprio del mezzo ha inizio in età davvero precoce, e viene instillato dai genitori stessi.
Sebbene anche a me, da genitore, i social suscitino in qualche misura timore, è mio obbligo da soggetto civico domandarmi se il semplice vietare il mezzo non si sostituisca una mia fondamentale pigrizia di educatore. Questo, in fin dei conti, ci riporta al ruolo dello Stato: genitore autoritario, oppure coscienzioso sostituto di un’autorità surrogata? La risposta non è semplice e non sarà facilmente sostituita da una legge. Ma questo dobbiamo capirlo da noi.
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