Come loro
Affonda ancora un poco il naso nel giaccone. Il vento gelido gli spacca la fronte sempre imbrunita dal sole di giù. Stringe gli occhi fino quasi a non vedere più nulla. Sono fermi davanti ai cancelli da più di mezz’ora e da poco la neve si è fatta tagliente. Il cielo è spento.
Tende un orecchio per cogliere qualsiasi sfumatura di dialetto, ma nessuno dice una parola. Vorrebbe fumare, ma non ha il coraggio di estrarre le mani dalle tasche.
Pesta i piedi sull’asfalto sordo.
Due uomini arrivano di corsa, intabarrati in lunghi giacconi, aprono i cancelli. La folla si affretta verso la fabbrica.
Dentro non fa caldo: i nuovi macchinari sono attivati con l’elettricità, quelli di un tempo almeno ti scaldavano in inverno.
Si infila il grembiale e va diretto alla sua macchina, quella che gli hanno indicato ieri. Ancora cerca di cogliere una mezza parola di giù, finché le macchine tacciono, ma intorno a lui parlano solo tedesco.
Non ha ancora avuto il tempo di diventare pallido come loro, di diventare silenzioso come loro, non ha ancora avuto il tempo di imparare a dire buongiorno come si deve, non ha ancora avuto il tempo di scambiarsi una sigaretta con un collega. Ha avuto soltanto il tempo di indebitarsi per l’anticipo dell’affitto e per due paia di calzini di lana. Per quello sì, ce l’ha avuto il tempo.
È solo. É tutto quello che sa. Si sente solo, ma sa che quando fra qualche mattina si guarderà allo specchio e anche quel poco di abbronzatura sarà sparita dal suo volto, forse allora, forse, qualcuno gli rivolgerà la parola.
Sorride timidamente al pensiero. La macchina si mette in moto. Quasi gli sembra di avere ancora tutte le dita della mano.
Ancora qualche giorno, pensa. E poi smette di pensare.
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