Casa non casa
Possiamo chiamarla “casa” quanto vogliamo. Però i momenti importanti dell’anno, i momenti di famiglia, quelli non li passeremo mai qui. Compleanni, feste, successi, fallimenti, cambiamenti, durante qualsiasi momento di celebrazione sentiremo la necessità di metterci in viaggio. A nord o a sud che sia, e di condividerlo in una casa altra da quella che abitiamo. Questa condizione porrà sempre una certa distanza tra noi e questo luogo. Lo dico con una certa malinconia, ma anche col sorriso: la diversità sarà sempre una ricchezza per il bambino e noi potremo continuare a vivere le nostre radici e le nostre identità con il desiderio, sempre, di tornare ai luoghi che per tanto tempo - quelli sì - per noi son stati casa.
Vale qui il distinguo linguistico che in tedesco, ma non solo, attribuisce al termine “Zuhause” o “Heim” una connotazione di appartenenza, mentre alla parola “Haus” quella di abitazione. Berlino per noi rimarrà sempre un luogo di lavoro, un appartamento, un asilo, un insieme di persone, perfino. Mentre l’Italia e la Svezia rimarranno Heim, vale a dire dove a casa ci si sente, piuttosto che abitarvi.
Nulla di dissimile peraltro dalla concezione con la quale sono cresciuto: a Milano ci ho abitato fino ai vent’anni, ma senza mai sentirla come un luogo di appartenenza. A Milano si stava per il lavoro, ma nessuno di noi ci è nato e ogni weekend si scappava in montagna, ogni estate si fuggiva al mare.
È un ragionamento grande, troppo grande per consumarsi in queste poche righe, eppure questa sera, in procinto di salpare, gli ormeggi si sono fatti più pesanti del solito. Non saprei spiegarmi il perché. Di certo non perché mi mancherà questa città. Forse è soltanto la stanchezza. E la voglia di riposare, almeno un poco, a casa.
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