Capricci

Oggi per la prima volta ho assistito alle maestre d‘asilo in azione e ne sono rimasto ammaliato. Non soltanto per la pazienza e il sangue freddo, ma anche da un punto di vista professionale mio, ovvero per la loro continua e smisurata creatività. Un prolungato cratere di idee, di spunti, di giochi, di recite, di immedesimazioni, una cosa mai vista prima. Roba che, tra l’altro, non si impara all’università, né al master, né in un workshop. Si tratta di una creatività che si costruisce con la necessità, nuda e cruda, non quella di soddisfare un cliente bizzoso, ma una necessità viscerale, quella di un bambino di venire intrattenuto, la necessità del gioco.

Quanto bisogno ci sarebbe di maestre d’asilo nei brainstorming d’agenzia, dei loro stimoli sempre nuovi. Perché come in teatro, così anche nel marketing e coi bambini, se un’idea non funziona lo si scopre subito e allora bisogna cambiarla e cambiarla ancora e ancora fino a quando non scatta qualcosa, fino a quando non fa presa, fino a quando non funziona.

Quando avrò di nuovo modo di influire sul processo di selezione del team creativo, considererò figure con esperienza in asilo, o comunque con bambini: essere genitori, ho scoperto, è una spinta alla creatività come pochissime altre. Troppo spesso, invece, nel nostro ambito chi ha un figlio viene penalizzato, roba da matti.

Il gioco della vendita è un po’ quella cosa lì, siamo tutti bimbi difronte alla pubblicità. Tendiamo le mani verso l’effimero come se non potessimo più vivere senza. Ma è un’illusione. Quando poi abbiamo ciò che tanto desideravamo dopo un attimo ce ne dimentichiamo. Alla fine sono costosissimi capricci. Per noi e per il pianeta. Chi ha un bimbo lo sa: è più divertente giocare con un rotolo di carta igienica che con dieci iPad.

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