Capire, davvero, il tennis

Ogni tanto mi chiedono “Ma tu di tennis quindi ne capisci,” e io, con un certo compiacimento, rispondo “Sì, qualcosina.” E in parte è anche vero, perché il tennis lo seguo da sempre, da quando giocavo, ragazzino, non soltanto guardando le partite, ma anche leggendone e studiandolo con costanza.

Poi però tra seguire il tennis e capirlo, ce ne corre. Il tennis, capirlo, è un casino davvero. Mentirei, ad esempio, se dicessi che ho capito come funziona il punteggio del circuito. Sfumature, ma non solo. Ad esempio - e questa è decisamente una cartina tornasole - io Sinner non l’ho visto arrivare. Su Sinner sono stato inizialmente tra gli scettici. A me quel seghino, tutto sgraziato, con quella camminata dinoccolata, mentirei se dicessi che mi ha ispirato l’aria del campione. Alcaraz, il cui tennis esplosivo e smanicato non mi ha mai fatto impazzire, mi è comunque sembrato un portatore sano di Slam ben più promettente.

Sinner l’ho tifato perché è un signore, perché è un esempio, con la sua timidezza e la sua tenacia, la sua umiltà e la sua concentrazione; come fai, da italiano, a non tifare Sinner? Ma non avrei davvero detto, in tutta onestà, che nel 2024 sarebbe diventato numero uno al mondo.

Capire il tennis? Ecco, chi ha visto arrivare Sinner, diciamo nel 2018 o giù di lì, chi allora ha detto “Dagli cinque o sei anni a quel ragazzino e quello mangia in testa anche a Novak,” ecco chi ha detto cose del genere di tennis ne capisce davvero. E mi piacerebbe tantissimo essere uno di loro, ma no. Io, come la quasi totalità - che lo ammettano o no - degli osservatori occasionali, salgo sul carro del vincitore tardi. Con gioia e orgoglio, certo, ma anche con la consapevolezza che Sinner non l’ho visto arrivare. Ed è, a mio avviso, anche un po’ il suo bello.

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