Beirut in cielo e in terra
Il Libano non ha quella cosa lì. Quell’iconicità. Quella riconoscibilità istantanea. Del Libano non si è scritto molto, né cantato molto, né filmato molto. Sta lì, proprio sopra Israele, anche lui lungo e stretto, minuscolo, schiacciato sul Mediterraneo. Non è abbastanza vicino all’Europa da suscitare il nostro timore. Non sono abbastanza bianchi da poterci immedesimare nel loro dolore. E non sono neanche i palestinesi, non hanno cioè quel flair da intifada, se mi spiego. Dunque: niente All Eyes On Golan. Anche se i bimbi muoiono anche lì, per giunta per mano degli stessi razzi, soltanto indirizzati qualche chilometro più a nord. Pazienza, amici libanesi - avreste dovuto lavorare più sulla vostra immagine.
Io invece un film libanese me lo ricordo. Una chicca vera e proprio che avevo incontrato non so come durante il periodo di studi. “The Libanese Rocket Society” (2012) di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige è un documentario che ricostruisce le vicende di un gruppo di ragazzi dell’Università di Haigazian che, guidati dal loro professore di fisica, iniziano a lanciare razzi nello spazio. Da Beirut, negli anni ‘60. Senza averne i mezzi, il Libano diventa così il primo paese arabo a lo spedire razzi in cielo. Una storia vera, bellissima, struggente, raccontata con garbo nella cornice della Beirut di oggi, così mediterranea da poterci difficilmente apparire estranea. Una sorta di “I Ragazzi di Via Panisperna” in salsa mediorientale. Che hanno sempre quel retrogusto un po’ amaro, le storie degli studenti. Di speranza tradita, di illusorio senso di eternità.
Ci si potrebbe almeno prendere la briga di guardare un film libanese, in questi giorni. Giusto per vedere che faccia hanno. Non avranno tutti i nostri occhi addosso, certo, non chiedono tanto. Ma di sapere almeno che esistono. Quello sì, glielo dobbiamo.
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