Autogol

A me, quando vedo gli autogol, si contorce lo stomaco. Davvero non avrei potuto praticare uno sport di squadra: che una sconfitta possa dipendere dalla mia negligenza è un’eventualità inconcepibile. Che se perdo io, perdono tutti. Ma anche che se vinco io, vincono tutti. Poi non c’entra nulla col lavoro, ad esempio. Sul lavoro mi piace lavorare in gruppo, condividere successi e insuccessi. Io mi riferisco proprio allo sforzo fisico. Spaccarmi gambe e polmoni per poi perdere a causa di un errore altrui (o far perdere i miei compagni per un errore mio), lo so per certo, mi rovinerebbe. La fatica fisica, nella mia testa, si celebra e si maledice soltanto sulla propria pelle. Poi lo so che se invece che giocare a tennis avessi fatto, chessò, rugby, sarei stato una persona migliore. Ad ogni modo i miei successi sono in capo a me, come i miei fallimenti sono da imputare a nient’altro che a me stesso. Ed è giusto così.

Tutto questo per dire che, nel mondo, stasera, non c’è nessuno che vorrei essere meno di Riccardo Calafiori. Specialmente dopo che è tre giorni che viene celebrato come “la nuova icona della difesa italiana”. Dio ce ne scampi. Meglio il tennis, Riccà. Meglio il tennis.

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