Aftermath
C’è questa bella parola inglese che basterebbe a condensare le mie sensazioni di oggi. Il termine “aftermath” indica le conseguenze di un evento dai risvolti negativi. Le conseguenze di un cataclisma, ad esempio. O di una guerra. Erroneamente si è tuttavia a portati a credere che la radice del termine rimandi alla matematica, il risultato cinico, imparziale, di un’equazione. La conta dei danni, per intenderci.
Ecco, nell’aftermath della mia impresa, questa giornata si può condensare nel termine “dolore”, a volerla semplificare.
Ma siccome né la corsa né l’etimologia sono scienze esatte, devo constatare che anche la seconda definizione del termine, quella più desueta, calza parimenti le mie sensazioni a seguito dell’impresa.
Quel “math” infatti è altresì riconducibile al termine agricolo tardo quattrocentesco che indica la falciatura (mowing). Dunque il più antico dei significati di aftermath è l’erba nuova dopo la falciatura (o “rowen”). Un’accezione ben più rosea e speranzosa che meno ha a che fare con la conta dei morti e più con la rinascita dopo la mietitura.
Se quindi da un lato stento a trovare un angolo del mio corpo che non mi faccia terribilmente male, l’aftetmath della mia maratona è anche il desiderio di tornare a correre. Il prima possibile.
parole: 202