l’orso non graffia

è the bear la serie più celebrata del momento. con tutto che i momenti di celebrazione si fanno sempre più brevi, è inteso. da una settimana non leggo che sperticati elogi per quella che sembrerebbe venire incoronata come migliore serie indiscussa dell’anno. titolo che, tra l’altro, avrò sentito attribuire già almeno tre volte nel solo 2022. e bella questa serie lo è davvero, ma dal momento che gli elogi mi sembrano un pelo esagerati, vorrei far notare che, nel mercato attuale, intrattenere bene non significa necessariamente che il prodotto sia ben fatto in ogni sua componente.

prendiamo severance, ad esempio, altra serie incoronata come “migliore dell’anno”: severance non fa una piega nella sua candidatura, per originalità del soggetto, dialoghi, intreccio, interpretazione, regia, scenografia, fotografia. e non è una questione di gusti, certo piace o non piace, ma la robusta fattura è fattuale e indiscutibile.

lo stesso ahimè non si può dire - tecnicamente - per the bear, che incalza, ha ritmo, è ben montata ed è in parte bene interpretata, ma è anche discontinua, spesso ridondante, ha un soggetto tutt’altro che originale e la struttura più della sitcom che propriamente della serie.

certo, fa bene al cuore ritrovare lip di shameless, anche se si chiama carmen (?!) e fa il cuoco (ma poco cambia); e il ragazzo ha davvero talento e le spalle larghe, ma il compiacimento del regista spesso si mescola ad una interpretazione stereotipata che culmina in un monologo troppo lungo e che rasenta le falle del dilettantismo. epperò non si tratta di un problema soltanto del protagonista, ma anche degli altri personaggi, che affascinano per il linguaggio ultra-tecnico della cucina e gli insulti da america downtown (e quanto ci piace), ma poi all’atto pratico stentano nello sviluppo e, quando evolvono, lo fanno in maniera scomposta e talvolta incomprensibile.

è dunque l’ossessione il leitmotif di the bear, un tema portante che vorrebbe (ma non può) innalzare la serie ad un whiplash in salsa barbecue, non avendone tuttavia l’estrema qualità corale e allungando un brodo (scusate i giochi di parole) che però non ha struttura bastante; infatti la serie è poi breve e le puntate hanno durate bizzarre, quando venti, quando cinquanta minuti, generando una discontinuità che influisce anche sul ritmo stesso della narrazione.

bella è bella, nel senso che non è il solito troiaio e ci si affeziona al protagonista. ma è trascurabile nel suo insieme e ce la dimenticheremo presto, come succede con tanti bei film che però non hanno la stoffa per lasciare il segno. il punto sarebbe piuttosto analizzare la linea di demarcazione tra arte e intrattenimento che va via via erodendosi con crescente rapidità. ma non è questo il luogo. né l’orario. non ancora.

parole: 450

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