la stessa menzogna, lo stesso film

il tema portante di fahrenheit 9/11 è la menzogna. la messinscena perpetrata dal governo bush per giustificare la guerra in iraq, smascherandone lo scopo commerciale in capo a una manciata di tycoon, tra i quali - incredibilmente - anche i familiari di bin laden. un terzo buono del film, l’ultimo, mostra famiglie di marines caduti in iraq, che riescono ad aprire gli occhi - aldilà di quello che sembrava essere cieco patriottismo - sull’inganno e ne chiedono poi conto alla casa bianca. la ricordavo come una pellicola straziante proprio per questo suo lato umano e per la forza d’animo che i suoi personaggi erano in grado di sfoderare in memoria dei loro cari. 

ciò che immaginavo meno, era l’attualità sconcertante della tematica, rispecchiando in larga parte la stessa menzogna inscenata dal governo russo ai danni dei suoi soldati e del suo popolo, che presto dovrà - come accadde alla controparte americana raccontata da moore - fare i conti con i propri morti e dunque con le reali ragioni di questo insensato massacro.

col suo tono sempre altalenante tra il sarcasmo e l’inchiesta, il picco narrativo fahrenheit 9/11 lo raggiunge quando il regista e un colonnello obiettore dei marines intercettano deputati fuori da capitol hill per convincerli ad arruolare i loro figli e spedirli in iraq a dare il proprio contributo alla causa. 

in questa scena risiede la morale amara e lampante che vuole i figli della classe lavoratrice a combattere le guerre per conto di coloro che in primis le hanno volute; “guerre giuste”, “guerre sante”, “guerre patriottiche”, guerre che è necessario combattere fintanto che a combatterle rimangano i figli altrui. 

la morale, infondo, di ogni guerra; anche di questa: a morire sono sempre e solo i poveri cristi. non ci sono guerre giuste, ma solo menzogne ben congegniate. 

parole: 299

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