la guerre est démodée
com’è tutto così vintage, no? questa paura, questa tensione, questi titoli di giornale, queste immagini dai bunker antiaerei, l’allarme profughi. com’è strana, questa guerra, così vicina, alle porte d’europa. com’è démodée questo russo cattivo e gli americani buoni, com’è tutto così già visto, così lontano, eppure così vicino, così assurdo, così sorprendente, come se il solo termine “guerra” fosse preso in prestito da una lingua straniera, distante, come il nome di un frutto che qui, nella vecchia europa, non cresce, come un animale estinto tanto tempo fa che qui, nel vecchio continente, non esiste più.
che poi magari non se ne farà niente, tutto fumo e niente arrosto. ma che strana, la guerra, al tempo degli iphone, dei filtri instagram e delle presentazioni in keynote. com’è strana, la guerra, in questo occidente saldo, sicuro, pieno di cose, sommerso di cose, con così tante cose confortanti e sicure, con tante identità individuali e poche collettive. e poi chi ci va in guerra? ci vado io? ci vai tu? ah, io no. che mica decidi tu, tu in guerra ci vai eccome. ma non so sparare! bellino lui - impari! vedi come impari. è proprio strana, a pensarci bene, la guerra.
ho riletto questo passaggio da un’intervento di burgess che diceva:
“la violenza affascina, perché è l’altro lato dell’unica cosa che l’umanità ha in comune con dio: la capacità di creare. la creazione richiede talento, mentre la violenza no.”
ripenso a tutte le volte in cui, in vita mia, ho sentito un vecchio dire: “vi ci vorrebbe a voi una guerra” e ora, a ripensarci che, brutto scemo, secondo me quel vecchio la guerra la deve aver vista di striscio, perché chi la guerra l’ha vissuta per davvero, non la augura a nessuno.
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