mettete dei fiori nei vostri cannoni

diceva lo cascio - nei panni di peppino impastato - osservando la contestata terza pista dell’aeroporto di palermo: “in fondo le cose, anche le peggiori, una volta fatte poi trovano una logica, una giustificazione per il solo fatto di esistere”.

mi è tornata in mente questa frase, imbattendomi in un’immagine che ritrae dall’alto un orto ucraino. un carro armato russo carbonizzato, smembrato dal proprietario del terreno sul quale ha incontrato la propria fine, viene inglobato nella composizione del giardino, con grazia e con una certa dose di ironia. tra cavoli e zucche, il corpo centrale del panzer è stato convertito in una fossa di compostaggio, mentre la torretta (con tanto di cannone annesso) si presta ad aiuola variopinta.

scansando la retorica (sì, la vita va avanti, anche durante una guerra), l’ho trovata un’immagine potente e rappresentativa proprio di quanto sosteneva anche impastato, di quanto siamo facili all’abitudine, perfino di ciò che c’è di più atroce; di come la nostra forza, in quanto esseri umani, risieda nella nostra creatività: una spinta verso l’abbellimento dell’orrore, come della paura.

non ci vuole niente a distruggere la bellezza (cit.), ma è anche vero che è proprio grazie a questi piccoli gesti che l’essere umano è in grado di spingere la notte un po’ più in là e di sopravvivere alle brutture di cui è sia artefice sia vittima.

parole: 223

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