don’t look east

si è parlato oggi più di uno schiaffo che di una bomba, vorrei far notare. che vero o falso, giusto o meno, rappresentazione della società fallocentrica o del cazzo che vi si frega, per l’amor di dio non può aver fatto più male di quanto possa fare un mortaio su una zona residenziale. ma lo dico così, eh, giusto per ridimensionare. per appuntarmi che il ventotto marzo duemilaventidue, il coronavirus è slittato in zona necrologi e la notizia con più spazio sulle testate online e sui social media è stato quel pirla di will smith. e i commenti! ma di tutti, da chi non ha mai guardato un film in vita sua (“l’avesse detto a mia moglie je staccavo ‘a capoccia a mozzichi”) alle femministe (“lei si sarebbe dovuta difendere da sola”), dagli addetti ai lavori (“mi spiace che will abbia perso la testa” — gente che peraltro non ha mai lasciato la basilicata) ai politici (“che esempio diamo ai nostri giovani?”). tutti apparentemente dimentichi dell’unico punto degno di nota della questione: la sua irrilevanza. la totale marginalità, la grottesca trascurabilità nel delicatissimo contesto attuale, la tragica sproporzione tra un gesto considerato violento, difronte alla ferocia, alla brutalità, alla veemenza di ciò che tanto vicino a noi accade. 

che poi, caso vuole, si tratti della perfetta rappresentazione del teorema più celebrato di hollywood stessa negli ultimi mesi: quella di una catastrofe imminente cui viene rubata la scena dalle beghe amorose tra due rapper. è al bel film di mckay che mi ha fatto pensare l’assurdo teatrino di oggi, e alla ferrea determinazione dei nostri media di non voler guardare a est. infondo è palese lo sforzo che ormai comporti tenere l’attenzione del pubblico su qualsiasi notizia per più di due giorni; figurarsi un mese. 

mi venga concesso un parere in merito: forse i giornali potrebbero fare uno sforzo in più. dico forse.

parole: 312

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basta ribellarsi, no?

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