cotone locale, prodotto in culandia
nonostante il mio lavoro me lo imponga, non frequento i negozi come dovrei. eppure, ciclicamente, tocca. e tocca in un giorno di festa, con trenta gradi e l’asfalto che bolle. tocca prendere la metro e andare in corso buenos aires ed entrare e uscire dai negozi di abbigliamento. tocca. e siccome oggi ricoprivo una funzione di mero accompagnatore, mi metto a scandagliare scaffali, vetrine, espositori vari alla ricerca di spunti professionali. ma l’unica cosa che scopro - rivelandosi il mercato dell’abbigliamento estremamente piatto, monotono, privo di fantasia e anche un po’ triste - è il diffuso e sistematico greenwashing che riscontro in ogni singolo negozio che ho l’opportunità di visitare, senza eccezione alcuna.
ogni brand decanta iniziative sostenibili, snocciola percentuali di tessuto responsabile, ma ognuno poi si piega alla necessaria evidenza che i propri prodotti sono stati realizzati nel sud-est asiatico.
faccio un esempio: “100% lino coltivato in europa”. e bon. guardo l’etichetta nel pantalone: “fabbricato in bangladesh”. quindi avete coltivato il cotone nel vecchio continente, poi l’avete trasportato verso un porto, l’avete caricato su una nave cargo e gli avete fatto fare mezzo giro del globo per risparmiare sulla manodopera; dunque, mentre lo facevate tornare indietro, incaricavate un’agenzia di ragionare su una bella comunicazione che enunciasse i benefici della coltivazione locale, per poi smistarlo nei punti vendita - ho capito bene? che di per se, inquinare con la vostra paccottiglia non vi fa onore, ma se lo faceste in silenzio, a nessuno (o quasi) verrebbe in mente di rompervi le palle. e invece no, dovete dire che la materia prima è ecosostenibile perché è coltivata in europa, quando sarebbe decisamente più sostenibile raccoglierla vicino al luogo di produzione, piuttosto che farle fare il giro del mondo. roba da pazzi.
faccio notare che siamo letteralmente sull’orlo del baratro mentre questi giocano con le campagne pubblicitarie. una roba stomachevole. ma finché non ci saranno rigide regolamentazioni e controlli severi sulla comunicazione mendace, allora rimarremo in balìa di questi disgraziati. e le agenzie di comunicazione che si prestano al trucchetto non sono migliori di loro. anzi. e buona festa della repubblica.
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