e alla fine (non) piove

e alla fine, comunque, piove. quindi tutto bene.

ho passato la prima metà del film a incolpare la recitazione (o presunta tale, ma poi in questo nostro cinema, chissà), la seconda metà a recriminare le mastodontiche falle di sceneggiatura. intrecci aperti e intorcinati, quando mai chiusi, quando aggrovigliati su se stessi senza trovare uno sbocco. virzì mette più carne al fuoco in siccità, che in trent’anni di carriera, questa volta colpevole di bruciare un soggetto esplosivo. perché il soggetto del film è di un’attualità sconcertante: soltanto leggendo la sinossi si potrebbe di per sé gridare al capolavoro; e ci sono momenti del film che rispettano la promessa. momenti, appunto, per i quali si può ringraziare il buon bigazzi che è magistrale nel restituire il ritratto di una città al collasso: silvio orlando che si imbatte sul letto prosciugato del tevere in una coppia di contemporanei giuseppe e maria è un’immagine di una potenza estetica e simbolica incontrollabile. epperò fatico a credere che su centoventi minuti netti di pellicola possano bastare questi fugaci appuntamenti a far funzionare la macchina cinematografica come il soggetto meriterebbe. 

perché poi c’è veramente tutto al contrario di tutto: un’epidemia di narcolessia (mah) causata dalle blatte, corna a profusione incrociate su tre coppie, le licenze dei taxi, il conflitto sociale, l’omicidio, la genitorialità, il carcere, chi più ne ha più ne metta, che non basterebbe una stagione in venti puntate per dipanare tutti gli intrecci. e dunque, com’è ovvio che sia, alla fine non ci si capisce più una mazza e quello che avrebbe dovuto essere il leitmotif trainante del soggetto (oltre che il titolo), diventa una blanda cornice, un’espediente narrativo per giustificare il caos, e non più quello che ho letto sui giornali veniva definito come “eco-dramma”, perché la denuncia ambientale si diluisce in interpretazioni a dir poco mediocri e occasioni perse di scrittura.

virzì - come riesce soltanto agli italiani - aveva un diamante tra le mani e invece ha voluto strafare, scagando l’opportunità di realizzare il primo vero film italiano di denuncia sul cambiamento climatico, in favore dei soliti intrecci del cinema all’italiana, con lei che fa le corna a lui, ma che al contempo non riesce più a essere una buona madre, ma poi ritorna indietro al suo primo amore, ecc. valerio mastandrea, silvio orlando, claudia pandolfi, vinicio marchioni e - udite udite - monica bellucci che c’azzecca come i cavoli a merenda e che arriva appena in tempo per dare il colpo di grazia alla recitazione e distruggere la credibilità di tutto il film.

insomma, roba veramente da mangiarsi le mani, specialmente perché c’è non soltanto più la necessità, ma la reale urgenza di cominciare a comunicare come si deve il cambiamento climatico. perché nella realtà, nell’ultima scena non arriverà la pioggia a redimerci da tutti i nostri peccati e volemose bene. tutt’altro. ci sarà il disastro. roba che poco si presta alla commedia all’italiana. mi sbaglierò io.

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