è la politica, bellezza

dà le dimissioni così, nicola zingaretti, con un post di saluto su facebook. lamentando i giochi di potere a palazzo, pestando i piedi con frustrazione e abbandonando il pd più in basso di dove lo aveva trovato, con il paese nella situazione più drammatica dal secondo dopoguerra. che dire: chapeau! una mossa da vero leader. e per di più sbatte la porta inveendo contro i membri stessi del suo partito, impoverendo un’impalcatura già fin troppo fragile e che non aveva bisogno di dita puntate. una mossa che certo non giova alla credibilità dell’istituzione che, imperterrita, continua a scavare alla ricerca del fondo in un punto in cui non ci sono nemmeno più le macerie su cui ricostruire.

la verità rimane che non solo noi cittadini non siamo più abituati alla politica, ma non lo è più nemmeno la politica stessa, stupita giorno dopo giorno della propria voracità e del proprio cinismo. 

piaccia o non piaccia, l’ultima figura politica - vera - che il paese abbia conosciuto negli ultimi anni, è stato matteo renzi che - di nuovo: piaccia o non piaccia - la politica la sa fare sul serio. abbiamo potuto ammirarne la sagacia e la tecnica appena un mese fa, quando in un soffio ha fatto cadere un governo e ne ha instaurato uno nuovo. da solo. “é probabile che io sia il più impopolare del paese, è improbabile che conte sia il più popolare, ma è certo che draghi sia il più competente. va bene così,” ha detto a sipario calato. come da solo aveva fatto piazza pulita dei suoi antagonisti quando il segretario del partito era lui (“stai sereno!”). la politica - e parliamo di una tradizione millenaria - pulita non lo è stata mai. la politica è sporcizia, è interesse, è promiscuità, compromesso, menzogna. la politica è mestiere. e come ogni mestiere, va saputa fare, bisogna esservi portati per carattere, per indole, per vocazione. una vocazione che nicola zingaretti dimostra di non avere, come ha dimostrato di non possederla tutta la scalcagnata banda dei cinque stelle. come disse nanni moretti: “non c’è niente di male a fare il politico per 30 anni di seguito, però bisogna saperlo fare.” 

se guardassimo alle dimissioni di zingaretti come a quelle di un imprenditore, scopriremmo che si tratta dell’uscita di scena più pietosa possibile: me ne vado con l’azienda in perdita, i clienti annoiati dai nostri servizi, management e dipendenti scontenti e, prima di chiudermi la porta alle spalle, do la colpa agli altri del mio fallimento.

se non si è pronti a sporcarsi le mani, in politica non bisognerebbe entrarci mai. 

ma il messaggio di zingaretti dovrebbe innanzitutto darci seriamente da riflettere sulle sorti della sinistra in questo paese. perché se una cosa è chiara è che i segretari che si sono susseguiti alla direzione da berlinguer in poi, si sono persi via via un elemento chiave per strada: l’elettrorato. e mi trovo obbligato a citare nuovamente moretti e il suo celebre intervento a piazza navona nel 2002, dal palco dell’ulivo: “per vincere bisognerà aspettare due, tre, forse quattro generazioni […] a loro veniva richiesto (riferendosi a fassino e rutelli, ultimi due interventi che lo hanno preceduto, ndr) di tornare a parlare alla testa, all’anima e al cuore delle persone, mentre invece la burokratia che sta alle mie spalle non ha capito nulla di questa serata […] mi spiace dirlo, ma noi con questo tipo di dirigenti non vinceremo mai,” tuonò infine con un rapido gesto della mano e sfilando di fianco allo stesso rutelli abbracciato a rosy bindi. e cos’è cambiato da allora? poco, sembrerebbe; come sembrerebbe che la veggenza del regista romano non sia relegata soltanto alla settima arte (anche se non ci voleva nostradamus). quello di zingaretti è solamente l’ennesimo, tristissimo, grottesco gesto di resa da parte di una classe dirigente non all’altezza del compito che le è stato affidato, ignorante dei valori dei quali dovrebbe farsi portatrice, ottusa nella sua timidezza e moderazione dabbene.

degli ultimi tristi giorni della segreteria di zingaretti ricorderemo soltanto lo squallido siparietto social con colei che per la sinistra dovrebbe rappresentare l’incarnazione del demonio: barbara d’orso, alla quale nicola ha scelto di dedicare un tweet affettuoso e assolutamente fuori luogo. niente più. di nicola zingaretti non ricorderemo altro. come già non ricordiamo altro di rutelli, d’alema, prodi, fassino, letta, bersani e tutti gli altri volti da necrologio che hanno occupato la scrivania in via del nazareno. 

lo spessore, la responsabilità, la serietà, la solidità, son là da venire. e con loro la sinistra. e con loro un governo di sinistra.

detto questo, mi sia concessa una breve ma necessaria postilla: il segretario del partito democratico non può dare le dimissioni su facebook.

non-può.

cazzo.

e non sono dettagli.

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