appendice [3]

Arrivammo poi a Stoccolma e ogni promessa che mie ero fatto di non piangere, di mostrarmi forte per lei, di mantenere una solidità della quale ora avrebbe avuto bisogno più che mai, si sgretolò con il primo lungo abbraccio nel quale la avvolse la sua mamma. Mi allontanai con deferenza, rigirandomi la sigaretta tra le dita e lasciando che le lacrime mi rigassero liberamente il volto, congelandosi sulla pelle, mentre a pochi metri sentivo i mormorii addolorati di lei, i bisbigli consolatori di Marie. 

Poi poche parole, il viaggio infinitamente più lungo di come lo avessi sempre percepito verso casa, quella casa, ma prima la tappa fatidica per prendere Diana. 

L’amica Agnes, anche lei diciassette anni, vive dall’altra parte del lago Mälaren, in cui si specchiano le luci della bella Kristineberg; casa sua e quella di Diana sono collegate da un lungo ponte, ma Stefan poteva vederle giocare dal balcone di casa, ad occhio nudo nei giorni di sole, col binocolo quando calava la nebbia. La famiglia di Agnes si è fatta carico di Diana nelle quarantotto ore che ci sono volute per raggiungere Stoccolma. La madre lavora per una celebre casa editrice per bambini, la stessa di Astrid Lindgren (l’autrice di Pippi Calzelunghe), mentre il padre è nell’aviazione svedese. La casa è accogliente e foderata di libri. Ci offrono il tè con i biscotti e scambiamo battute come se nulla fosse e il dolore diffuso che sembrava non se ne sarebbe mai andato, improvvisamente viene annebbiato dal vapore di menta. 

Diana sembra a suo agio e l’amica la tiene d’occhio costantemente. L’abbraccio che si sono scambiate all’ingresso le due sorelle somiglia agli abbracci di sempre, forse un poco più lungo, ma risulta naturale. Diana sa che siamo qui per lei e sa bene cosa ci aspetta, dunque ride, temporeggia, ci trattiene dal dramma che ci attende, lei così più giovane di noi, lei che ci è già passata e sa più di noi, lei così saggia che sa che la fretta di star male non è che il preludio di un tempo regalato e che dovrà essere dimenticato. 

Si ricordano aneddoti, ci si scambia convenevoli, la torta che ci ha preparato la madre è buona e genuina, senza glutine, perché la figlia è intollerante. Non mangiamo di gusto, ma ci sembra la cosa giusta da fare. Qualcosa nel nostro profondo sa che i prossimi pasti risulteranno insipidi e tiepidi e che il piacere di un buon cibo sarà di là da venire.

Ma anche le chiacchiere che Diana cerca di mantenere vive, improvvisamente si esauriscono e ne restano soltanto gli avanzi in sottili sorrisi a mezzabocca che non sanno bene dove andare. È venuto il tempo di muoverci. Di lasciare la bella casa di Agnes, di attraversare il ponte, e di varcare le soglie della navicella spaziale della quale rimarremo prigionieri per chissà quanto, privi di forza di gravità, fluttuando in un eterno chissà.

***

Ti stai divertendo vero? Vederci nel parcheggio dell’aeroporto, ciondolare avanti e indietro alla ricerca della tua macchina. Lo so che stai ridendo. Ho riso io, figurati. 

L’hai lasciata tutta sporca che a momenti non si leggeva manco la targa, con il bollo scaduto, il vetro scheggiato e le chiavi di scorta (le altre ce le hai ancora da qualche parte nella giacca) con il pulsante di chiusura rotto - ma almeno l’avevi chiusa prima di abbandonarla e lanciarti verso le partenze? I dipendenti di Arlanda ci hanno detto che con il bollo scaduto la macchina di lì non si muove e abbiamo dovuto prendere appuntamento dal meccanico per la revisione. Mannaggia a te guarda, che solo tu potevi combinare sti casini. Ridi ridi, che qui noi ridiamo con te; le hai educate tu così le tue ragazze, a fare i conti con gli imprevisti, a vivere la vita come se non ci fosse un domani. È così che si dice? Perché è esattamente con questo che ci troviamo a fare i conti oggi, con la tua spensieratezza, con la tua leggerezza che ci annega il cuore, perché oggi è il domani che ci hai negato e il tuo spazzolino sul lavabo, il tuo pigiama ancora appallottolato tra le lenzuola, la cabina armadio in cui sembra che sia esplosa una granata, le tue scarpe da jogging all’ingresso, il tuo yogurt non ancora scaduto in frigo, tutte queste piccole tracce che ti sei lasciato alle spalle ci dicono “torno presto”, ma qualcuno - anche se noi non ti abbiamo ancora visto - ci ha detto che tu non tornerai e noi ora dobbiamo trovare il cane che hai lasciato chissà con chi, la macchina che hai parcheggiato chissà dove, dobbiamo far sparire al più presto tutte le tue tracce imminenti o non smetteremo mai di sgranare gli occhi ogni volta che qualcuno, sul pianerottolo, apre la porta dell’ascensore. 

parole: 802

Continua.

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