la linea orizzontale

La storia si ripete.(Tucidide)

La storia non si ripete mai.
(Vilfredo Pareto)

Le affermazioni “la storia si ripete” e “la Storia non si ripete mai” sono in pratica egualmente vere.(George Macaulay Trevelyan)

Non che lui il bambino non lo voglia. La guarda muoversi nella cucina minuscola. La immagina con il pancione e la cosa non lo turba.

Ci sono persone che desiderano diventare genitori da sempre. Non necessariamente per mancanza di affetto, come si potrebbe facilmente pensare, ma per semplice istinto; vedere i bambini che giocano lo rende felice.

Lei mette via i biscotti e sciacqua una tazza. E’ nervosa, ma lui non può fare a meno di sorriderne. Vado al volo in farmacia, dice lei; si devono togliere questo pensiero e lui lo sa. Va bene, dice lui, finisco io qui. Si alza e la raggiunge, lei gli mette in mano la tazza e comincia a vestirsi: si infila le scarpe, una sciarpa e prende 20 Euro dal borsello, a passo di trotto va a baciarlo sul collo ed esce.

La porta sbatte mentre lui aspetta che l’acqua del lavandino si scaldi.

La casa misura quindici metri quadri con letto soppalcato. Con la gatta sono in tre e la polvere si accumula nell’arco di mezza giornata in batuffoli come uova. Hanno fatto di nuovo colazione all’una. Da una settimana studiano a letto e da tre giorni parlano di una cosa sola: i venti giorni di ritardo.

Le cause potrebbero essere molteplici: stress per gli esami, sbalzo climatico, ormonale, psico-somatico. Nel cuore della notte si sono messi a spulciare in rete; ognuno dice la sua e nulla pare più attendibile del resto. Bisogna fare il test, è ovvio. Lei scrive alla ginecologa che le dice di stare tranquilla, ma di farlo il test. La mattina, possibilmente.

Non sono incinta, ripete lei. Lo so, dice lui.

Ma poi il test va fatto. Dopo due settimane non hanno più scusanti. Lei ha dei sintomi pre-mestruali, ma pare che siano molto simili a quelli dei primi mesi di maternità. Senso di nausea, irritabilità nervosa, dolori alle ovaie, gonfiore al seno, aumento della sudorazione.

Non è incinta, dice lui ad alta voce mentre versa il detersivo nell’ultima tazza.

Lui ha 25 anni, lei 23. Si sono conosciuti in un bar vicino all’università. Amici di amici, scoprono di vivere nella stessa via. Si innamorano subito, bruciano le tappe, litigano come vecchi amanti, fanno l’amore come ragazzini, si coccolano fino a consumarsi la pelle.

Lei rientra, va al frigo e si apre una birra. Che fai, le dice lui, quasi preoccupato. Non mi scappa, dice lei e manda giù un sorso. Si siede al tavolo ed estrae le istruzioni dalla confezione.

Leggo ad alta voce? Sì, dice lui con finto distacco mentre si asciuga le mani.

Per effettuare il test, aprire la confezione e prelevare lo stick… Lui le sta di fianco e si fa una sigaretta, lei beve un sorso di birra.

Tenere ferma con una mano l’estremità arrotondata. Con l’altra mano rimuovere il tappo e scoprire il tampone. Lui comincia a percepire un’agitazione nelle viscere. Si alza, va al divanetto e si accende la sigaretta.

Tenere la punta assorbente indirizzata verso il basso. Tenere il tampone per almeno 6 secondi sotto il flusso… Ma mi stai ascoltando? Certo. Nient’altro?

Reinserire il tappo sull’estremità ed attendere la comparsa delle strisce colorate. Il risultato del test può essere letto dopo 3-5 minuti. Non tenere conto del risultato dopo più di dieci minuti.

– Ok. E come si fa a capire il risultato? –

– Ci sono due finestrelle. In quella di destra compare una linea se il test ha funzionato. In quella di sinistra se compare una linea orizzontale non sono incinta. Se viene fuori una croce sono incinta. –

– Capito. Linea orizzontale non incinta, croce incinta.Ti scappa ora? –

– No. L’hai mai fatto prima? –

– No. Ma non ci vuole una scienza. –

Dopo qualche minuto lei beve l’ultimo sorso di birra e allontana la lattina da sé. Lui alza lo sguardo dal pavimento.

Vado, fa lei. Si alza e prende la busta col test, entra in bagno lasciando la porta aperta. Lui d’istinto la segue per qualche passo, poi si risiede sul divanetto e prende in mano un libro.

Sente il rumore tenue dell’urina picchiettare nel WC. Il sangue gli pulsa alle tempie e gli manca il respiro. Unisce le mani in grembo e chiude gli occhi. Non adesso, mormore. Non adesso. Il rumore finisce. Silenzio.

Lui scatta in piedi e si affaccia alla porta del bagno, giusto in tempo per vederla rialzarsi i pantaloni e appoggiare il test sulla mensola sopra il lavandino. Sembra tranquilla. Lui incombe alle sue spalle cercando di regolare il respiro.

– Tre minuti? –

– Da 3 a 5. –

Le due finestrelle si velano subito di una patina rosea. Nella finestrella di destra compare una linea: il test ha funzionato. Gli occhi di entrambi si spostano sulla finestrella di sinistra, tonda e più grande. Lentamente si delinea una striscia orizzontale blu, che si fa di attimo in attimo più marcata.

Linea orizzontale non incinta, croce incinta.

Tornano a respirare. Lei versa del sapone e si sciacqua le mani. Lo sapevo, dice lei con sollievo, rivolta al lavandino. Te l’avevo detto. Ma gli occhi di lui sono incatenati all’oggetto di plastica, sulla finestrella tonda. Di colpo sbianca, la prende per il braccio ; perpendicolarmente alla linea orizzontale, senza alcuna fretta, si fa strada una seconda linea che taglia con precisione geometrica la prima.


Stanno lì così da almeno un’ora. Non si sono praticamente detti nulla.

Lui non ha avuto neanche il coraggio di guardarla in faccia; fissa il pavimento, la testa tra le mani, e ripete mentalmente le formule con le quali mettere al corrente i suoi. Lei invece lo scruta attentamente. Studia il viso del ragazzo con cui convive da un mese, che conosce da tre e che, a quanto pare, diventerà il padre di suo figlio.

Sto morendo di fame, dice lei alzandosi, lui non sembra aver sentito, preparo due uova, continua.

Lui alza lo sguardo per la prima volta e annuisce. Sa che dovrebbe dire qualcosa, fare qualcosa, dimostrarsi all’altezza della situazione, maturo, in grado almeno di prendere posizione sulle proprie emozioni, ma infinite possibilità gli si aggrovigliano nel cervello e lo paralizzano. Così, continua a non fare niente.

Lei sbaracca il tavolo, apparecchia e gli passa un uovo al tegamino. Grazie, dice lui. Prego, risponde lei prendendo le birre dal frigo. Ripiombano nel silenzio.

Lei lo vuole? si chiede lui. Lui lo vuole, si dice lei.

Non sanno quando possa essere accaduto, ma ormai che importa.

– È successo; è ovvio che oggi non veniamo a capo di niente. –

– No. – fa lui.

– Io però devo farmi due passi, ti spiace? –

– No. –

– Ok. –

– Ok. –

Lei misura ogni gesto per non risultare fraintendibile ai suoi occhi, per non far trapelare i propri pensieri. Mette la giacca e gli rivolge un sorriso prima di chiudersi la porta alle spalle.

Fuori fa un freddo cane, ma lei è sicura che sarebbe impazzita a rimanere un minuto di più in quel buco.

Va verso il fiume, dove c’è la sua panchina. Si siede e fuma una sigaretta osservando l’incresparsi dell’acqua. Poi un pensiero fulmineo, nuovo. Guarda la sigaretta che tiene tra le dita, sputa fuori il fumo e la getta con decisione. Vorrebbe sorridere, ma non ci riesce.

Lui è sollevato che lei sia uscita. Tracanna una birra intera e sparecchia. Ha la sensazione che l’uovo gli si stia schiudendo nello stomaco. Piange. Gli esami, i suoi genitori, gli amici, il sogno di diventare regista. Una slot machine di pensieri che non si allineano mai.

Sente l’uovo risalire la china come una trota e si lancia sul water, che fortunatamente è a un metro dai fornelli. Piange e vomita e solo in quel momento sta bene perché almeno tutto ha smesso di girare, tutto è spento.

Riprende fiato dopo l’ultimo conato e rimane a lungo appoggiato con la fronte sulla tazza . Si solleva come un vescovo dall’inginocchiatoio e si sciacqua la faccia nel lavandino. Mentre allunga la mano verso l’asciugamano, nota con un occhio semichiuso il test sulla mensola. Merda, pensa.

Poi, mentre si tampona il viso, vede qualcosa di strano. Il cuore gli fa un balzo in gola mentre afferra lo stick e se lo porta vicino agli occhi.


Lei rientra in casa. Lui la sta aspettando sul divano, raggiante, mentre solleva lo sguardo dal libro.

– Non era valido! – Quasi grida.

– Come sarebbe a dire? – A metà tra la stizza e l’incredulità.

– Sulle istruzioni c’era scritto che se fossero comparse altre linee, il test sarebbe stato da considerare nullo. –

– Gesù Cristo. Fammi vedere. –

Lui le fa un cenno con la mano, come a dire di non preoccuparsi. – Non ce n’è bisogno, ho controllato e l’ho buttato. –

– L’hai buttato? – Senza neanche togliersi la giacca lei scatta verso la pattumiera e lui non fa in tempo a fermarla.

– Senti ti ho detto che… – Ma lei ha già ripescato lo stick e lo osserva impietrita. Il suo sguardo passa rapidamente dal test a lui e viceversa.

Lei – Che cazzo significa? –

Lui – Lo so, non te lo volevo far vedere. –

Lei – Ho detto, che cazzo significa –

Lui – Come faccio a saperlo, io. È strano, lo so, ma non vuol dire niente. Ho controllato sulle istruzioni e dice che può succedere che compaiano altre linee, ma non bisogna tenerne conto. –

Lei – Non bisogna tenerne conto! Cazzo, è una svastica –

Pausa.

Lui – Sembra una svastica. –

Lei – A te questa sembra una svastica? –

Effettivamente è una svastica, pensa lui e non riesce a trattenere un sorriso.

Lei – Mi spieghi che cazzo ridi? –

Lui, faticando a nascondere la smorfia – Rido perché è assurdo. –

Le prende il test dalla mano e lo riguarda da vicino. La precisione con la quale altri quattro trattini si sono andati a sommare alla croce non lascia adito a dubbi.

Lui – D’accordo, è una svastica. E quindi? Il risultato rimane comunque nullo. –

Lei lo fissa allibita. Non si era mai resa conto di quanto lui potesse risultare un coglione, certe volte. Torna verso la porta.

– Dove vai? – le chiede lui


Mezz’ora dopo sono ancora in bagno, un nuovo test sulla mensola, a osservare la finestrella di sinistra. Prima linea orizzontale. I due ragazzi sono in apnea.

Con calma impietosa si delinea un’altra linea orizzontale che la taglia. Non si guardano, trattengono il respiro.

E poi eccole di nuovo: una…due…tre…e quattro, quattro lineette che formano la croce uncinata.

Cazzo, dice lui. Cazzo, dice lei e tira un pugno sul lavandino. Lui le sfiora la spalla con una mano, ma lei si scosta e lo fissa con rabbia.

Ehi, le dice lui, spaventato. Lei ha gli occhi iniettati di sangue e le mascelle pulsano bianchissime.

– Ti senti bene? – ma lei va al frigo e tira fuori la settima birra della giornata.

– Domani vado dal medico –

Lui – Mi sembra giusto –

Lei – È ovvio che non possiamo tenerlo –

Nella stanza cala il silenzio.

Lui – Scusa? –

Lei – È ovvio che non possiamo tenerlo. È ovvio –

Lui – Possiamo parlarne? –

Lei – Non vedo di cosa dobbiamo parlare. Non lo voglio. Ce l’ho in pancia io e non lo voglio. –

Lui – Credevo fossimo d’accordo che non è assolutamente detto che tu sia incinta. –

Lei – Lo sono. –

Lui – Ma se hai passato il pomeriggio a dire di no! –

Lei – E invece adesso lo sento. E non lo voglio. –

Lui – Senti, calmiamoci un attimo e discutiamone – Ma lei si sta spogliando e si infila il pigiama.

Lei – È tardi e sono stanca. Ne parliamo domani. –

Lui sta per dire qualcosa, poi la osserva salire le scale e scomparire dietro la tenda. Forse è meglio che lui dorma sul divano.


La mattina seguente, nonostante le pochissime ore di sonno, lui decide di alzarsi alle 8.30 e di andare all’università. Mentre il professore spiega non riesce a seguire una parola, ma si forza a rimanere seduto e ad aspettare l’ora di pranzo per tornare a casa. È impaziente di dirle quello che ha pensato in quelle ore. Di dirle che vuole il bambino, ammesso che sia veramente incinta. Che consegnerà la tesi in anticipo e che troverà un lavoro; in nove mesi potranno contare su uno stipendio sicuro e lei potrà pensare solo agli esami e alla gravidanza.

Ma, quando gira la chiave nella toppa, si rende conto che lei è uscita. Così torna sui suoi passi e va dal fioraio a comprare dei fiori di cui non conosce il nome e a mangiarsi un kebab per strada. Quando torna di nuovo all’appartamento la luce è accesa. Lei è appena entrata, perché ha ancora addosso il giaccone, ma lui capisce subito che non ha alcuna intenzione di toglierselo. Comunque cerca di sorridere e le porge il mazzo di fiori blu. Lei li guarda e senza smettere di fissarli dice

– L’ho tolto –

Lui – Cosa hai tolto –

Lei – Il bambino. Ero incinta e l’ho tolto –

Lui sente montare una rabbia incontrollabile. – Posso sapere perché? –

Lei – Non ero pronta –

Lui – Immagino che la svastica non c’entri niente –

Lei chiude gli occhi con fastidio. – Non chiamarla così. –

Lui – Cosa non devo chiamare così? La svastica? –

Lei – Sì. Non c’è nessuna svastica. Non lo volevo. Punto. –

Lui – E il fatto che potesse interessarmi non ti sfiora? – è in affanno, si controlla appena.

Lei – Te l’ho già detto. Ce lo avevo in pancia io e decido io. A malapena ti conosco!

Lui – Ma ti sei completamente rincoglionita? Ma che dici? – grida

Lei – Possiamo smettere di parlarne? La questione è chiusa. Nessun bambino. Sarebbe stato un errore.

Lui – Sai cosa penso io invece? Che stai fuori, che ti sei messa in testa di avere in grembo l’anticristo. Magari hai letto da qualche parte la storia che la madre di Hitler stava per abortire e poi all’ultimo ci ha ripensato. Non ti è mai interessata la storia, non ne sai niente, studi medicina perdio!, e ora fai quella con una coscienza storica. Non voti nemmeno! –

Lei – Ma cosa c’entra? –

Lui – C’entra. Hai avuto paura di una cosa che non conosci. Di una malfunzione nel sistema. E non hai pensato di tenermi in conto.

Lei – No non l’ho pensato. –

Lui – E quindi? Ci stiamo lasciando? –

Lei – Io non ti sto lasciando –

Lui – Senti Clara, vaffanculo. –

Lei – Ma vaffanculo tu.Vieni qui con le tue balle sulla coscienza storica e mi giudichi perché non voto. Sì, mi sono spaventata, che cazzo. Era una svastica ed è comparsa per due volte, non ci vuole una laurea in storia per capirlo. E adesso mollami che non mi reggo più in piedi.

Gli volta le spalle e scompare in bagno. Con un gesto violento lui sbatte i fiori blu contro il muro e il pavimento si copre di petali. La gatta subito ci si avventa, li annusa e poi ne mangiucchia qualcuno. Lui raccoglie quattro cose dall’armadio e le butta nella borsa. Uscendo vorrebbe dire qualcosa, ma si limita a tirarsi dietro la porta con la speranza che crolli tutto il palazzo; percorre il cortile a testa bassa fino al portone, gli manca l’aria. Mentre varca la soglia che dà direttamente sulla via di casa cerca di respirare a fondo, ma ottiene solo un capogiro.

Per strada non c’è nessuno. Sembra una domenica mattina. La luce del sole lo accieca, chiude gli occhi e sente una macchina avvicinarsi.

Quando li riapre, poi, la guarda: una Polo nera con i fari accesi, nonostante sia pieno giorno. Dall’auto proviene ovattata della musica che non riconosce. Vede la macchina rallentare, come se il conducente lo avesse riconosciuto. Mentre gli passa di fronte il ragazzo si piega leggermente per guardare nell’abitacolo, nonostante cominci ad avvertire uno strano disagio. Dentro sono in due, sembrano persone normalissime e lui si tranquillizza, anzi sorride, con la bocca semiaperta, disponibile a rispondere a qualsiasi loro domanda. Ma la macchina non si ferma e lo supera.

Lui rimane ancora lì, ancora piegato sulle gambe che non riesce a muovere e con la bocca semiaperta che non riesce a chiudere e sa che dovrebbe tornare indietro, sa che dovrebbe cercare una soluzione, perché è innamorato, e dirle che tutta questa storia è una sciocchezza, che si conoscono da troppo poco e che possono ripartire e fare finta che non sia successo niente, dovrebbe fare questo, sì, e tra poco lo farà, ma per ora non può fare a meno di rimanere lì, sul ciglio della strada, a pensare al tizio in macchina e ai suoi strani baffetti neri.

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reggevano un libro

Avanti
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seguire il formaggio