le due volte di long john
chissà cosa c’è in isner di così speciale da obbligarlo a lasciare il segno in uno sport, nel quale per contro è stato così poco memorabile. chiamato long john per i suoi due e passa metri, questo gigante dalla faccia buona si è reso ancora protagonista di un’impresa che giocoforza rimarrà impressa nelle pagine di storia del tennis. non per il suo dritto, non per un particolare effetto che imprime al rovescio, né per qualsiasi altra caratteristica tecnica che gli ha permesso di distinguersi in maniera eccezionale tra i giocatori della sua generazione. se non fosse per questi due episodi specifici, l’ultimo dei quali questa mattina sul cemento del dallas open (atp 250), il buon john andrebbe a rimpolpare quella schiera di giocatori “spalla” che hanno fatto da eccellenti comparse ai grandi protagonisti dello sport e che lentamente, col tempo, finiremo per dimenticare.
ma appunto, isner ha qualcosa di speciale che, nell’arco di una manciata d’anni, ancora ce lo farà ricordare per quell’approccio mentale che - per rimanere fedeli al lessico più trendy di questi anni - non si può che definire resiliente.
primo episodio.
john isner e il francese nicolas mahut entrano sul campo diciotto di wimbledon il 22 giugno 2010 alle 18.18 per disputare un incontro di primo turno. ne usciranno alle 21.03 a causa dell’oscurità, con due set a testa in saccoccia, 6-4, 6-3, 7-6(7), 7-6(3). il 23 giugno disputeranno invece un solo set, il quinto, che rimarrà senza vincitore, interrotto di nuovo poco dopo le 21 sul pareggio 59-59. i due giocatori vanno a riposare dopo sette ore di gioco ininterrotto con il record già al sicuro. il terzo giorno, 24 giugno anno del signore 2010, alle 15.42, i due giocatori tornano sul campo diciotto per mettere la parola fine a questo improbabile primo turno.
dopo aver vinto il game del 60-59, john isner raggiunge il centesimo ace nella partita e quindici minuti dopo, sul 62-62, lo fa anche il francese. superate undici ore in totale, al suo quinto match point isner vince con il punteggio finale di 6-4, 3-6, 6(7)-7, 7-6(3), 70-68.
risultato: 11h 5min: match più lungo della storia del tennis; 183 game: maggior numero di game giocati; 216 ace: 113 di isner + 103 di mahut; 8h 11min: set più lungo della storia; 138 game: set con il punteggio più alto. con un fan fact degno di nota:
durante la seconda giornata il tabellone dei punteggi è rimasto bloccato sul 47-47, dopodiché si è spento. i programmatori ibm hanno comunicato che era stato programmato per un massimo di 47-47, ma che avrebbero corretto il problema per il giorno successivo. il tabellone online del sito ufficiale è durato giusto un po' di più: sul 50-50 si è resettato a 0-0. un messaggio rivolto agli utenti dalla pagina ufficiale del torneo di wimbledon su facebook recitava: "please add 50 to the isner/mahut game score". un programmatore ibm ha lavorato sul sistema di punteggio computerizzato fino alle 23:45 per avere i punteggi corretti il giorno seguente, ma dopo altri 25 game si è avuto ugualmente un malfunzionamento.
stacco. fast forward di dodici anni.
episodio secondo.
come anticipato: 13 febbraio anno domini 2022, dallas, texas, questa volta per lo meno si tratta di una semifinale (certo il torneo non è paragonabile con il lawn di wimbledon). in campo due generazioni distinte di americani, entrambi giganteschi. da un lato il consueto long john, dall’altro reilly opelka (che poi sarò matto io ma quel nome a me ricorda un profetico “rally”), duecentoundici centimetri che si fanno sentire su servizio che nel migliore dei casi sfiora i duecentotrentacinque chilometri orari. se per qualcosa reilly ce lo ricordiamo, è per aver vinto l’atp 250 di atlanta in doppio col “nostro” jannick sinner lo scorso anno. e bon, poi diciamo che non ci si strapperebbe i capelli per un biglietto.
morale della favola, senza tirarla per le lunghe: tie-break più lungo della storia del tennis, 24-22. vince opelka per due set, 7-6(7), 7-6(22). al suo ottavo match point, il mini-break ha concluso una serie di 26 punti al servizio, salvando ben 10 set point.
di più su questo incontro, per ora, non ci è dato saperlo, poiché trattandosi di un torneo minore non sono ancora reperibili né la partita integrale, né gli highlights.
ciò che è sicuro, è che qualcosa di speciale in john isner ci sia davvero, perché è incredibile che queste maratone capitino sempre a lui. da un lato lo spilungone ci ricorda un fatto che ogni amante del tennis ben conosce, ovvero che si tratta di un gioco senza termine. non ci sono novanta minuti, né distanze da percorrere, né inning o punteggi specifici a concludere un match. potenzialmente, una partita di tennis potrebbe non avere fine. portare questa estrema mancanza di limiti dove la porta john isner ha un che di eroico e di romantico e di eccezionalmente vitale. poi però, la resilienza di isner ci ricorda anche che il tennis non è uno sport fisico, o non solo, ma soprattutto mentale. puoi non avere il diritto di del potro (ciao, delpo) o il rovescio di shapovalov, il servizio di roddick, l’elasticità di medvedev o le corse a rete di djokovic, ma con una buona testa e un’ottima capacità di concentrazione puoi vincere un open. questo è poco ma sicuro. giocare un punto per volta, ma veramente un punto per volta, si conferma l’unica chiave di lettura realistica per questo incredibile sport, la cui filosofia andrebbe insegnata nelle scuole.
se tutti giocassero un po’ meno a calcio e un po’ di più a tennis, c’è da esserne certi, sarebbe un mondo migliore. un mondo di pazzi, egomani e autistici, ma con un cuore gigante e la voglia di gettarlo oltre ogni ostacolo che la vita ci pone.
grazie long john, ancora una volta.