Reazione a catena

L’azienda mi prenota la camera sempre nella stessa catena. Così che, sia Amburgo o Monaco, una volta tirate le tende, non sappia distinguere l’una dall’altra. Non soltanto per l’arredo o per la marca delle saponette - comprensibilmente standard - ma anche per la metratura stessa, per la struttura della stanza. La medesima distanza tra il letto e la parete del bagno, stessa porta che si chiude e che devo fissare con il cestino per lasciare uscire la condensa della doccia, stessi appendini e stessa fantasia della moquette. Perfino il sensore antincendio sul soffitto ha fissata una targhetta con il numero di serie incollata con la stessa angolatura alla maschera. Potrei essere ovunque. E da un lato questo mi inquieta, ma dall’altro - e credo sia in qualche modo anche l’intento del progettista - mi conforta. Quando varchi le soglie di una qualsiasi delle filiali di questa catena, sai con precisione cosa ti attende. È infondo la sensazione che provi quando rientri a casa: non ti aspetti sorprese, non le vuoi, casa tua la vuoi come l’hai lasciata, sempre uguale. E così viaggiare per lavoro ti permette di contare su un elemento di immutabilità, un elemento che è stato vantaggioso per la catena di alberghi nel formattizzare le filiali in serie perfette, ma anche per te, che almeno per la notte in trasferta non devi adattarti al nuovo, allo sconosciuto, al senso di estraneità. Chiudo gli occhi in un non luogo, astratto ma non estraneo. Impersonale eppure sicuro. A un prezzo ragionevole.

parole: 251

Indietro
Indietro

Due bracciate in Darsena

Avanti
Avanti

Che mondo avete visto