Niente da perdonare

“L’enigma”, lo ha definito l’arcivescovo di Milano. Il Papa nicchia. Eppure il suicidio del rettore della Cattolica - l’anno scorso nominato da Bergoglio stesso consultore della Congregazione per l’educazione cattolica - potrebbe costituire una buona occasione per la Chiesa di aprire un dibattito onesto su chi decide di togliersi la vita. O “il dono”, come è stato definito per due millenni e il cui sperpero è sempre stato condannato alla dannazione eterna.

Ascoltare, sforzarsi di capire, perdonare. Non è anche su questo che dovrebbe basarsi la fede? Il male del secolo si prende uno dei discepoli leali della Chiesa e la Chiesa non dovrebbe infilare la testa nella sabbia. Sono occasioni d’oro per dare conforto a chi vive nella disperazione quotidiana di patologie asfissianti. Una parola di sostegno dal pontefice potrebbe costituire una prima piccola medicina, per lenire la sofferenza in chi crede.

Poche parole non per perdonare, ma per chiedere il perdono di chi, in balia del dolore, non abbiamo saputo proteggere. Nulla da perdonare. Ora è già troppo tardi.

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