Il pensiero, il cellulare, la stanza, io
Ogni volta che mi propongo di scrivere di Israele e Palestina, mi blocco. Nell’ultimo anno mi sarà capitato decine di volte: colgo un punto, un aspetto, me lo rigiro nella testa e poi, quando arriva il momento di fissarlo, niente, il vuoto, mi sembra tutto sciocco, un pensierino delle elementari. Non sono vere e proprie posizioni - non ne ho - quanto più delle riflessioni. Quando mi balenano nel cervello mi sembrano anche interessanti, o quantomeno non banali. Poi le rileggo e mi vergogno anche soltanto di averla pensata, un’approssimazione simile.
Anche oggi, nel primo anniversario dell’attacco di Hamas, ho la testa piena di pensieri. Scrivo qualcosa. E subito tutto si restringe, come in un attacco di panico. Tutto si strozza. E rimpicciolisce. Il pensiero, il cellulare, la stanza, io.
Come quando al mio amico è mancato il padre. E io non avevo idea di cosa dirgli, perché sapevo di non capire niente. Dunque finivo per non dire niente. Credo fosse molto appraezzato.
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