Al riccio

Guarda. È strana la vita di un riccio. Vivere in attesa del peggio. Che se uno ci si mette, a tormentarti, se uno c’ha tempo da perdere, allora passi un brutto quarto d’ora, riccio. Ti arresti, ogni sera, sul lato più buio del marciapiede, in attesa del nostro passaggio. Poi, una volta superato, prima di girare l’angolo, mi volto a guardare e tu, riccio, hai ripreso il tuo incedere trotterellante. Trotterelli, riccio, nella speranza che qualcuno ti scambi per una foglia, per un escremento, per un’ombra. Non sei nient’altro che un topolino con gli aculei, eppure sei antico, vieni da un’epoca lontana, dove tutto era essenziale ed efficace. Sei essenziale ed efficace, riccio, come una vecchia bicicletta.  Anche in bicicletta, in qualche strano modo, si è sempre in attesa del peggio. Ti saluto, riccio, ogni sera, chiamandoti per nome. Paolo. Perché ho conosciuto soltanto un Paolo nella mia vita, ed era come te. Conduceva la stessa vita claudicante e preoccupata. Per questo mi è sempre stato simpatico.

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Un matto

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Ci voleva Bernacca