Aiuto
Mio figlio vive in un inserimento perenne. Tre passi avanti, due indietro. Quattro avanti, cinque indietro. Tutto lo sconquassa, ogni minimo smottamento della sua routine, ogni volto nuovo, ogni gesto estraneo lo confonde. Figurarsi il lunedì mattina.
Stamani ha pianto appena entrati all’asilo. Mi si è avvinghiato al collo fortissimo e, tra le lacrime, mi ha urlato: “Babbo aiuto. Babbo resta.”
Aiuto, mi ha detto. Uccidendomi. Sono uscito e ho pianto appena fuori la porta.
Ho vissuto tutto il giorno col magone.
Poi il pomeriggio lo vado a prendere e chiedo alla maestra come sia andata la mattinata. “Bene,” mi fa, “ha smesso appena sei uscito.”
Di piangere ne avevo bisogno comunque. A volte mi viene il dubbio che lo faccia per me. “Così ha qualcosa di cui preoccuparsi per davvero”. Il fetente.
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