30 minuti del suo tempo

Lo sa il signore perché l’hanno chiamata come una tavoletta di cioccolata. Ma a me ha sempre fatto ridere, questa donna di marketing che si chiama come un brand. Faceva ridere probabilmente solo me, visto che tutti me la descrivevano come severissima, altera, scorbutica. Con me, invece, Milka Pogliani (che non è il nome del cioccolato - non solo - ma della cognata di Abramo) era stata incredibilmente affabile. Mi concesse 30 minuti del suo tempo, a me mocciosetto fresco di maturità, con le idee confuse e una supponenza biblica. Mi accolse nel suo ufficio maestoso, tutto vetrate su via Valtellina e mi squadrò coi suoi occhietti sottili senza sopracciglia.

Io su Milka Pogliani, più di questo, non ho da dire: fu gentile, molto, abbastanza perché me ne ricordi ancora oggi. Non perché sia stata una delle figure più rilevanti del nostro settore, non per i titoli e non per i premi. Ma perché ebbi l’impressione che mi ascoltasse davvero. E per quello scambio con il quale mi congedò. Mi chiese: “Allora tu vuoi scrivere.” C’era voluta mezz’ora per riuscire a dirlo. Alchè io risposi: “Credo di sì”. Si alzò e mi fece strada verso la porta. “Allora vai dritto per la tua strada e non dar retta a nessuno. Ciao.” Fine, tutto qui. Niente di strabiliante, anzi. Eppure mi colpì. Mi colpì così tanto che decisi di prenderla in parola e di non dare retta manco a lei. Chissà che non ne sarebbe stata contenta.

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Né l’una, né l’altra