forse il premio no

dissento, e con un certo vigore, sulla qualità attribuita dai cannes lions allo spot di heineken sui vaccini. ricordo distintamente l’uscita dello spot, accompagnata dal consueto fermento social e da qualche plauso istituzionale persino, volendo la réclame promuovere la vaccinazione in particolare tra i più anziani, che così avrebbero potuto tornare a fare festa fino a tardi (qui l’espediente ironico, è chiaro). 

a mio avviso - e al di là, ça va sans dire, di buonissima fede da parte di chi l’ha concepita e prodotto - questa pubblicità avrebbe facilmente potuto risultare passibile di comunicazione ingannevole: la promessa del ritorno alla normalità, così frivolo e repentino, a fronte di una spruzzata di vaccino, rientra con entrambi i piedi nella - ahinoi vasta - categoria della comunicazione semplicistica e superficiale di cui siamo tutti stati vittime negli ultimi due anni. in un periodo tanto delicato come quello pandemico, i brand avrebbero dovuto astenersi dall’entrare nel merito di promesse di stampo scientifico e sulle quali nulla avrebbero potuto garantire, contribuendo a confondere il grande pubblico, che ancora oggi brancola nel buio su buona parte delle informazioni legate alle nuove varianti e alla tutela fornita dalle diverse dosi di vaccino. “come mai, se sono vaccinato con tripla dose, sto così male?” la promessa infondo era quella di canti e balli fino a notte fonda se mi fossi vaccinato. e come mai certi amici non vaccinati, contratto il virus, hanno sofferto di sintomi perfino più lievi dei nostri?

ecco, mentre tanti brand si sono sforzati di dare un proprio contributo tangibile alla corretta informazione dell’opinione pubblica, certo non avrei sentito il bisogno di premiare con tanta eccellenza un prodotto che, seppure ben realizzato, non è stato in grado di assolvere al compito minimo di fornire un’efficace comunicazione. o forse si trattava solamente di brand awareness fine a sé stessa, nel qual caso, temo, sarebbe anche peggio. 

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