sarò sempre me stesso

“Eravamo convinti che una voce sbagliata è in grado 

di annullare la bellezza di un paesaggio.”

L’angelo Esmeralda (2011), Don Delillo

 

Mi è sempre rimasta impressa quella puntata di Black Mirror, in cui una donna che aveva di recente perso il marito decide di acquistare un suo avatar, basato sui dati e i media accumulati dal defunto nell’arco di una vita. Una vicenda tanto assurda quanto grottesca, specialmente se si considera che nel 2018 ben due startup americane avevano presentato un chatbot che si proponesse di fornire il medesimo servizio. La chiamano “immortalità virtuale” e solleva una quantità infinita di dubbi sotto il profilo etico, nel cui merito mi guarderò bene di addentrarmi. Limitiamoci ad ammirare per un momento la grandiosità del progresso tecnologico e il suo potenziale impatto sulle nostre vite negli anni a venire. Perché quella del “dopo di noi” è una questione centrale nel dibattito tecnologico, che anno dopo anno si impone ambiziosi obiettivi per scoprire nuovi modi affinché l’essere umano – in parte o nella sua interezza – sopravviva al tempo concessogli per natura; la stessa natura che ci spegnerà integralmente, questo è certo, ma che può anche disattivarci parzialmente e anzi tempo, negando determinati aspetti della nostra esistenza a coloro che ci circondano. Parlo ovviamente della malattia, che può colpirci in qualsiasi età e con diverse intensità, quando prendendo di mira le nostre funzioni vitali, quando rubandoci terreno in specifiche aree; quando rapidamente, quando seguendo un decorso più lento. E in questo contesto potremmo concordare che fra i mali più logoranti – sia per chi ne è affetto, sia per chi lo circonda – ci siano le patologie neurodegenerative, che si portano via le persone un pezzo per vota, giorno dopo giorno. 

Accantonando per un momento l’eventualità che a breve potremo ordinare un nostro avatar in carne ed ossa, un replicante (per usare un termine caro al cinema), un clone guidato da un’intelligenza artificiale, che faccia le nostre veci dalla nostra dipartita in poi, molto ha fatto la ricerca tecnologica per far sopravvivere parti di noi alla morte come alla malattia. Pensiamo ad esempio al voice banking: lo stoccaggio della voce umana in modo che questa possa continuare a parlare al posto nostro quando noi l’avessimo smarrita. Abbiamo tutti in mente la voce metallica e atona che recitava meccanicamente le frasi composte da un impossibilitato Stephen Hawking; si trattava del primo testimonial internazionale che comunicasse tramite sintetizzatore vocale. Quando a qualcuno viene diagnosticata una malattia simile, spesso il consiglio è quello di registrare la propria voce di modo che, una volta svanita, questa possa continuare a dare un imprint umano e meno robotico alla comunicazione di tutti i giorni del degente. Si tratta tuttavia di un processo lento e faticoso, specialmente a causa della stanchezza cronica che affligge questo genere di pazienti, i quali si trovano a dover leggere e rileggere per ore parole e frasi che non hanno alcun significato, né sono correlate da senso logico: una procedura spesso lenta e frustrante per chi vi si sottopone, con risultati comunque non sempre eccellenti (tutt’altro) e interpretazioni distanti dalla reale voce del malato. 

Chi è del mestiere lo ben sa, questa è la settimana dei Cannes Lions (International Festival of Creativity), la più prestigiosa iniziativa annuale per premiare le eccellenze creative nel marketing in tutto il mondo (e nutrire l’ego già satollo dei manager d’agenzia). Un appuntamento magari non da seguire in diretta, ma i cui vincitori certamente sono da tenere d’occhio, quantomeno per rifocillare la propria ispirazione con materiale aggiornato e di qualità. Sebbene il festival non sia ancora terminato, quotidianamente vengono premiate singole categorie per l’intera settimana, a seconda del tipo di creatività, dei media impiegati, del mercato di riferimento. Personalmente, ad oggi, ritengo che la campagna che è stata premiata e che spicca sopra le altre per estro e sensibilità, ha trionfato nella sezione “Pharma” e si chiama “I will always be me”, “Sarò sempre me stesso”. Firmata da Vmly&r New York e finanziata da Dell insieme a Intel, la piattaforma in questione offre la possibilità alle persone affette dalla malattia del motoneurone (motor neuron disease, MND), di registrare la propria voce attraverso la semplice lettura di un testo breve, graziosamente illustrato e carico di afflato poetico e umana gentilezza. Davvero una rivoluzione rispetto ai metodi tradizionali che abbiamo raccontato precedentemente. Incuriosito, ho deciso di provare anche io, così mi sono iscritto e subito il sito mi ha messo nelle condizioni di registrare la mia voce leggendo le poche pagine di questo bellissimo libro. Inutile dirlo mi sono commosso, che per me non sarà una grande novità, ma comunque dice molto sull’iniziativa di Dell.

Registrando, mi è anche tornato in mente quel bel film del 1993 con Michael Keaton e Nicole Kidman, “My Life”, in cui a un uomo in procinto di diventare padre viene diagnosticato un brutto male (un tumore, mi pare) e questi decide quindi di filmare una sorta di vademecum per suo figlio, di modo che nel caso della sua prematura dipartita, al ragazzo un giorno rimanga una testimonianza dell’uomo che suo padre era stato e dei consigli che questo gli riservasse per il suo avvenire. 

Mi era molto rimasto impresso lo spunto suggerito dalla pellicola, sul bisogno proprio che ognuno di noi prova di voler lasciare una traccia quanto più tangibile e altresì fedele di sé per il cosiddetto “dopo”; il video di lancio della campagna “I will always be me”, ben realizzato e toccante senza risultare stucchevole, interpreta con grande sensibilità i timori e i desideri di coloro che effettivamente si trovano in procinto di perdere buona parte della propria identità, e dando anche un giusto spazio ai loro parenti, ai quali questo servizio infine è destinato.

Trovandomi a diventare presto padre e cosciente che questo nostro passaggio sulla terra è incerto e labile, sono grato – nonostante per fortuna non soffra di alcuna patologia – del servizio che i brand in questione hanno messo a disposizione di tutti. Sapere che la mia voce è salvata sul cloud e che i miei cari potranno un giorno eventualmente riascoltarla, componendo frasi che magari ho scritto tempo addietro, mi ha donato uno strano sollievo. Posso soltanto immaginare cosa significhi per coloro per i quali, a differenza mia, questa risorsa rappresenta un conforto vitale, la speranza di poter mantenere una piccola parte di sé anche quando tutto nella loro vita sarà mutato, per rimanere – nonostante tutto – sempre sé stessi. E davvero non è poco.

questo articolo è stato pubblicato sul magazine di no panic agency il 25 giugno 2022

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