passaggio di consegne

sai di invecchiare quando gli astri nascenti non hanno più la tua età; sai di essere invecchiato quando assisti ai passaggi di consegna. e non lo definisco io così, ma nadal stesso, ieri sera, in conferenza stampa post match. ha detto testuale: “certo che si tratta di un passaggio di consegne. accetto il verdetto”. son momenti storici dei quali un giorno si potrà dire “io c’ero”, quelli come la partita di ieri, quarti di finale degli open di madrid, tra nadal (35 anni) e alcaraz (19, compiuti durante il torneo). il punteggio già parla da sé, esprimendo tutto il disequilibrio tra i due contendenti, 6-2 1-6 6-3, in una partita che è cominciata con due break di seguito e che è proseguita nel secondo set con una storta alla caviglia che sembrava decretare la sconfitta di alcaraz, mentre il giovane stava strategicamente sacrificando l’intero set per riprendere fiato ed energie. 

non è mai finita, una partita di tennis, fino a quando non ci si stringe la mano oltre la rete. in mezzo, tutto è strategia, lo può essere una sosta, una protesta, anche un infortunio può essere strategia, ma soprattutto può esserlo lo svantaggio. e da questo punto di vista il tennis è unico. djokovic sullo svantaggio ci ha costruito tante vittorie degli ultimi due anni, illudendo di essere vinto, per stupire l’avversario con una repentina ripresa. certo, serve essere campioni, servono nervi d’acciaio, serve una certa dose di disumanità per gestire un simile bluff. sfoggiare queste qualità prima dei vent’anni ha un che di stupefacente. 



passaggi di consegne, dicevamo. c’è una differenza sostanziale tra un momento di portata storica e una semplice vittoria. quello cui abbiamo assistito ieri non ha nulla di fortuito. ma cosa ce lo fa dire? 

per quanto mi riguarda c’è un momento in particolare della partita di ieri che mi ha portato a pensare che ciò cui stessi assistendo portasse in sé la storicità dei momenti iconici. 

terzo set, 5-3, serve alcaraz per il set. si tratta di punti determinanti per la sua carriera e lui lo sa. potrebbe giocare un tennis più cauto, nel calcio la squadra si chiuderebbe in difesa, ma lui opta (contro il re della terra rossa) per un rapido serve-and-volley, fin qui rarissimo nell’intera partita. fa in pratica quello che nessun altro farebbe in questo momento della partita, non contro nadal: serve e corre determinato a rete; la risposta del suo connazionale sulla prima di servizio è sufficientemente tesa per non incoraggiare una simile scelta, ma alcaraz a questo punto a rete ci è venuto e opta per un gesto di inaudita grazia, abbassandosi sulla ginocchia e aprendo il diritto nella direzione opposta all’avversario, in una smorzata che sembra muoversi in rewind, accompagnando la pallina dove nadal non avrebbe potuto prenderla nemmeno quando aveva l’età del giovane carlos. 


in altre circostanze diffiderei della similitudine che sto per utilizzare, ma in questo caso è più che dovuta. sei anni fa andai a madrid a trovare un mio amico di lì, un attore. mi organizzò un weekend di full immersion madrileña, tra cui un pomeriggio a las ventas, la più importante plaza de toros di spagna. il mio amico conosceva bene un giovane torero, considerato un asso del circuito e molto rispettato. questi si premurò di organizzare la nostra visita, dandoci accesso a quei luoghi preclusi ai turisti, tra cui la sala della vestizione e la tribuna d’onore (a me prenotò la seggiola con la placca in memoria di hemingway). fu un’esperienza indimenticabile, paragonabile solo al nostro palio, una di quelle usanze che raccontano un popolo intero. al tempo io facevo l’attore, come il mio amico, e entrambi osservavamo e commentavamo rapiti la gestualità e la mimica facciale del torero, così sinuose a tratti, ricche di enfasi e animalesche al tempo stesso, come le maschere teatrali dell’antica grecia. 

ecco, non esagero se dico che per una sorta di osmosi culturale, il gesto sotto rete di alcaraz possedeva la medesima grazia del torero che dispiega il suo mantello in punta di sciabola, invitando la bestia nelle sue trame, accogliendo l’animale ad una distanza dove nessun altro lo vorrebbe, parlandogli con foga e sfidandolo con quelle espressioni clownesche del volto. 

questo gesto scelto da alcaraz - ammesso che non si trattasse di mero istinto - per segnare la propria vittoria contro uno dei giocatori più importanti dello sport, l’eroe del quale probabilmente aveva il poster appeso in camera quando, da bambino, sognava un giorno di giocare ai massimi vertici del circuito. 

ecco la differenza tra una vittoria e un passaggio di consegne: la grazia di un gesto che nessun altro, se non tu, avrebbe mai potuto compiere, contro l’idolo della tua infanzia, nel massimo torneo del vostro stesso paese. 

sarò anche invecchiato. ma se questo significa assistere al tennis di alcaraz, a tie-break come quello che sto guardando proprio ora mentre scrivo, tra lo stesso alcaraz e djokovic, allora ne vale la pena.


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